L’ignoranza in poppa

Ammetto di avere una concezione aristocratica della politica. Cosa voglio dire? Dal momento che la considero un elemento importantissimo e fondamentale della vita comunitaria ed anche personale, esigo che venga discussa e praticata da gente che, per preparazione, competenza, esperienza, cultura, etc., sia in grado di affrontarla seriamente a servizio della collettività. In politica è auspicabile la passione, ma non è ammesso il dilettantismo, non è accettabile l’improvvisazione.

Non ricordo la fonte, ma a suo tempo Gianfranco Fini fu definito da un intellettuale di destra, e quindi non a lui politicamente estraneo od ostile, come un soggetto che “non sa un cazzo, ma lo dice bene”. Attualmente la politica italiana è piena zeppa di gente che non sa un cazzo, ma lo dice bene o che addirittura lo dice male, ma sa conquistare un inspiegabile consenso.

L’indimenticabile esponente democristiano Mino Martinazzoli a chi gli chiedeva di “sputare” certezze, ammetteva di avere molti dubbi. Altra stoffa! Oggi tutti sparano certezze e nessuno ha il coraggio di esprimere qualche dubbio. Bisognerebbe diffidare e invece ci si prostra ai piedi di questi vanagloriosi personaggi. I media hanno enormi responsabilità nel legittimare l’ignoranza dei politici, inserendoli nel loro circo pieno di prestigiatori che si spacciano per acrobati.

Pur rimanendo a livello meramente gossiparo c’è da rimanere allibiti di fronte alle esercitazioni previsionali attualmente in voga: ci si preoccupa della leadership del M5S, riducendola fra l’altro alla competizione fra Luigi Di Maio ed Alessandro Di Battista, i cavalli di razza dell’allevamento grillino, molto più che delle cariche istituzionali europee in discussione nel dopo elezioni.

È possibile che il futuro dell’Italia venga passato al vaglio del ballottaggio fra Di Maio e Di Battista? Non è possibile! Eppure sta avvenendo. Questi signori non sono all’altezza della situazione, stanno giocando a fare i politici e la gente è talmente scoglionata di tutto e di tutti da consegnare il Paese nelle loro mani.

Proviamo a fare una provocatoria distinzione tra gli aspiranti politici: da una parte abbiamo i ladri, quelli cioè che vedono nella politica l’arte dei propri affari; dall’altra abbiamo gli stupidi, quelli che vedono nella politica solo l’occasione per esibirsi. Preferisco l’analoga classificazione pannelliana fra “capaci di tutto” e “capaci di niente”. Non avrei dubbi a schierarmi dalla parte dei ladri, dei capaci di tutto. Ho sempre pensato che sia molto meglio avere a che fare con un cattivo intelligente che con un innocuo stupido.

“Se no i xe mati, no li volemo”, così era intitolata l’amara commedia di Gino Rocca, rappresentata nel 1926: un impietoso ritratto del mondo di provincia. A distanza di quasi un secolo potremmo fare un impietoso ritratto dell’Italia politica e amaramente intitolarlo: “Se no i xe stupidi, no li volemo”. Mio padre, quando giudicava un personaggio politico, prima di entrare nel merito delle sue idee, lo sottoponeva ad un esame finestra molto semplice ed elementare, al termine del quale, se promozione c’era, questa avveniva con la seguente battuta: «Al n’é miga un gabbiàna  pära facil mo l’ é dificcil bombén” e  né gh vól miga di stuppid parchè i stuppid i s’ fermon prìmma”. Invece purtroppo gli stupidi non si fermano anche perché non siamo capaci di fermarli: peggio per noi.