La caccia agli untori non governativi

Sta imperversando l’antipolitica con il suo rovescio della medaglia, vale a dire l’antietica. C’è una sorta di corrispondenza biunivoca tra queste due correnti di pensiero, che si alimentano reciprocamente: non si capisce quale sia la sorgente e la foce di questa deriva culturale.

La paura, che sta diventando l’elemento portante della nostra società sempre più liquida, la fa da padrona e spinge le persone a non credere alla politica o addirittura ad osteggiarla, rifugiandosi nel corner delle illusioni populiste, nonché a rinnegare e disperdere il patrimonio etico storicamente e culturalmente accumulato, chiudendosi nell’egoistica visuale del proprio palmo di naso.

Amare riflessioni conseguenti al nuovo giro di vite anti-migranti operato dal governo col decreto sicurezza bis in cui si ipotizza una vera e propria intimidazione a suon di punizioni, previste per le organizzazioni non governative impegnate nei soccorsi in mare, alcune delle quali sono accusate di presunte e finora mai dimostrate collusioni con i trafficanti di uomini.

Durante la peste, raccontata da Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”, la paura induceva la gente a individuare la colpa della tremenda epidemia nei cosiddetti “untori”, persone che avrebbero propagato l’infezione nei modi più strani ed improbabili: erano questi i virtuali responsabili e bastava poco per accusarli sommariamente e irrazionalmente. Non vorrei che le ong fossero viste come gli untori del fenomeno migratorio e come tali perseguite se non perseguitate. Si sta scaricando su di esse la “colpa” di aiutare dei disgraziati a sopravvivere alle torture subite in patria, ai viaggi di fuga incredibili ed agli ammaraggi sui barconi. Fare del bene sta diventando un comportamento da prevenire, condannare e fustigare. Più paradossale di così!

È un’aria che tira in politica, ma anche a livello giudiziario: si pensi al trattamento riservato al sindaco di Riace, Mimmo Lucano, rinviato a processo, destituito ed esiliato per avere aiutato, in modo provocatoriamente irriguardoso dei lacci burocratici, i migranti, cercando solo ed esclusivamente di integrarli nel comune da lui amministrato. Non si vuole essere disturbati dai rompiscatole che ci buttano in faccia le nostre enormi responsabilità: meglio che muoiano in mare. Il fatto che arrivino da noi è colpa dei trafficanti e delle ong che tengono loro mano. Una volta arrivati sul nostro suolo si sbizzarriscono a delinquere, a rubare, a stuprare, ad ammazzare. Non devono entrare e quelli entrati devono essere rimpatriati.  Questo è il piano per gestire il fenomeno migratorio! Non si parte cioè dalla volontà di accoglierli, seppure gradualmente, ordinatamente e limitatamente, ma dalla volontà di tenerli fuori a costo di farli morire in mare (e Dio solo sa quanti ne siano già morti).

Il fenomeno migratorio è complesso, affonda le sue radici nella storia passata e recente, si basa sulle clamorose e vergognose diseguaglianze nello sviluppo dei popoli, è difficilissimo da governare. In materia si scontrano due bacchette magiche: quella dei muri e della tolleranza zero e quella del vogliamoci bene. In mezzo ci dovrebbe essere l’impegno a regolamentare i flussi, a gestire l’integrazione, a collaborare con gli Stati di partenza, di transito e di arrivo. In Italia si è scelta l’opzione zero, dell’adesso basta ed è chiaro che i soggetti capaci di far saltare il circuito vizioso sono coloro che si intestardiscono a soccorrere chi rischia di morire annegato per poi costringere chi di dovere ad intervenire nel momento immediatamente successivo. La provocazione però deve finire e le ong vadano a farsi friggere: questa la morale della favola.