Uno sbruffone a Bruxelles

Ho avuto l’occasione di seguire il dibattito politico andato in onda nell’ambito della rubrica otto e mezzo su la 7, che ha visto la maramaldeggiante partecipazione di Matteo Salvini nella sua triplice veste di leader della Lega, di vice-premier del governo e di ministro degli Interni: un coacervo di sbruffonate da osteria.

Il presuntuoso sorrisetto con cui si è atteggiato, le sparate demagogiche che ha lanciato, gli argomenti contraddittori e strumentali che ha portato, gli strafalcioni economici e politici che ha inanellato mi fanno pensare che questo personaggio si sia effettivamente montato la testa e stia perdendo il senso della misura: il 34% ottenuto alle recenti elezioni europee lo sta mandando in orbita.

Se il suo discorso è sostanzialmente anche la risposta alle numerose richieste di chiarimento formulate dal premier Conte nella inusuale ma puntuale conferenza stampa di alcuni giorni fa, al presidente del Consiglio non resterebbe altro da fare che salire al Colle per rassegnare le dimissioni prima che sia troppo tardi. Salvini non può cambiare politica dal momento che l’elettorato l’ha premiato; è vero che gli italiani gli hanno consegnato una fuoriserie, ma chi la guida dovrebbe avere comunque l’equilibrio per frenare nei tratti di strada pericolosi, invece lui accelera col rischio di portare tutti a sbattere.

Salvini crede di aver vinto le elezioni europee, mentre in realtà ha solo fatto un exploit a livello italiano, che peraltro ha indebolito il governo di cui fa parte e soprattutto non ha avuto alcun seguito a livello dei partiti sovranisti suoi finti alleati: la Lega, pur avendo conquistato parecchi seggi al Parlamento europeo, è politicamente irrilevante per gli equilibri istituzionali della Ue e rischia di isolare il nostro Paese e di ricacciarlo in una situazione che sta evolvendo da difficile a impossibile. Siamo nell’occhio del ciclone, ci trattano da sorvegliati speciali, ci bacchettano a più non posso, ci mettono dietro la lavagna e noi reagiamo facendo le boccacce.

Si è aperta per l’Italia una fase molto problematica all’interno della Ue: non siamo credibili quando diamo rassicurazioni, siamo ridicoli quando formuliamo degli ultimatum per cambiare le regole, siamo incompetenti ed ignoranti quando elaboriamo cervellotiche proposte di risanamento. Avremmo bisogno di aiuto, ma attacchiamo e provochiamo chi ce lo potrebbe dare; dovremmo dialogare con pazienza, ma invece osiamo lanciare dei diktat. Qualche mese fa Salvini attaccava Junker dandogli dell’ubriacone e del ladro. Ricominci così e andremo benissimo.

Non si può sedersi con un minimo di credibilità al tavolo di una trattativa, se, dietro, gli amici sparano a zero sugli interlocutori. Con quali chance di successo Conte e Tria discutono con i partner europei, se gli esponenti del governo italiano continuano a straparlare. La situazione è sempre più paradossale. Al termine del dibattito a cui ho assistito mi sono chiesto: è possibile che oltre un terzo degli italiani abbiano stima e fiducia di uno sbruffone da bar di periferia (con tutto il rispetto per i bar e per le periferie)?

In un comizio a Foligno il leader della Lega Matteo Salvini ha chiamato l’applauso della piazza con queste parole, dal sapore vagamente evangelico: «Se mio figlio ha fame e mi chiede di dargli da mangiare a Bruxelles mi dice “No Matteo, le regole europee ti impongono di non dare da mangiare a tuo figlio”, secondo voi io rispetto le regole di Bruxelles o gli do da mangiare? Secondo me viene prima mio figlio, i miei figli sono 60 milioni di italiani». Gli ha risposto il sindaco di Milano con una battuta, che mi sento di condividere fino in fondo, in risposta a chi gli chiedeva se si sentiva uno dei 60 milioni di figli di Salvini: «No, non lo voglio nemmeno come zio».

Un mio conoscente, molti anni fa, durante una squallida e vergognosa prestazione della nazionale di calcio, minacciava di emigrare in Svizzera per allontanare una simile onta. Eugenio Scalfari espresse la volontà di espatriare di fronte allo sciocchezzaio sciorinato da Daniela Santanché (o Santa de ché, come disse Dagospia). Qui e adesso c’è molto di peggio: vuoi vedere che Salvini oltre i muri contro gli immigrati, alzerà anche quelli contro gli emigrati virtuali in pectore, dei quali mi onoro di far parte?