Il lebbrosario dell’antipolitica

Se dalle elezioni europee la Lega esce con un “fascisteggiante” successo, peraltro difficile da gestire in prospettiva, il M5S esce ridimensionato e stoppato. Non è soltanto una questione numerica, abbastanza clamorosa, ma un tremendo giudizio, che lo sottopone alle forche caudine di una futura e ribaltata convivenza con i fratelli coltelli. Per un movimento come quello dei cinquestelle, tanto per stare in clima nostalgico, vale il motto “chi si ferma è perduto”.

Checché se ne dica, il messaggio che esce dalle elezioni, non tanto in Italia ma a livello europeo, riguarda la vittoria della politica sull’antipolitica. La protesta qualunquistica dura l’espace d’un matin e i pentastellati pagano questa loro improvvisazione/impreparazione che irrita parecchio l’elettorato. Della serie “fin che si scherza si scherza, quando si fa sul serio…”. Sembra finita la ricreazione. In Europa, seppure in modo piuttosto contorto, confuso e ritarato, escono prepotentemente sulla scena i partiti tradizionali: popolari, socialisti, liberal-democratici e verdi. Il resto è vocato alla irrilevanza politica e numerica. I grillini non sanno nemmeno a quale gruppo apparterranno nel parlamento europeo. Fuori gioco a Strasburgo, inconsistenti a livello periferico, ridimensionati in campo governativo, battuti dal Pd, nemico dichiarato e odiato, divisi al loro interno, sprovvisti di una classe dirigente meritevole di tale nome, schiacciati sul frettoloso ed assai poco credibile perbenismo dimaiano, abbandonati in fretta e furia dall’opportunismo dei media, rimane a loro, per dirla con Berlusconi, la sola prospettiva dei cessi di Arcore.

L’elettorato grillino, piuttosto raffazzonato, non poteva che rimanere deluso. Non so dove sia finita una parte consistente dei voti cinquestelle: nell’astensione, nella conversione leghista, nel ritorno piddino. In ogni caso si tratta di una batosta tremenda. Il futuro in questo caso non si può più dire che sia nelle mani di Grillo: fino a qualche tempo fa lo ritenevo l’unico vero e insostituibile leader del movimento. Si è piuttosto defilato e non capisco dove voglia parare. L’eminenza grigia casaleggiana sembra scricchiolare sotto i colpi dell’incomprensione: “piazze piene e urne vuote”, diceva Pietro Nenni; “social pieni e urne vuote”, così può essere aggiornata la sconfortata reazione socialista ai pessimi risultati delle elezioni del quarantotto.

Uscire dal governo pentaleghista per andare alle elezioni politiche sembra una follia. Continuare a convivere con una Lega ringalluzzita dal pieno di voti è una scommessa da disperati. Ripiegare su un’alleanza con il partito democratico è prospettiva numericamente, prima che politicamente, assurda. Scendere nelle piazze o rifugiarsi sul web non è possibile per chi vuole rinnovare tutto il sistema. Luigi Di Maio ha affermato, dall’improprio pulpito del ministero dello sviluppo economico, che non intende mollare ad ha comunicato al riguardo di aver chiesto la immediata convocazione dei gruppi parlamentari del M5S a cui sottoporre la nuova grave situazione. Credo sia preoccupato dell’unico sbocco plausibile che potrebbe avere la crisi grillina: una spaccatura tra le due anime, quella più intransigente e radicale rispetto a quella più tattica e continuista. I primi potrebbero prendere le distanze, assumere un profilo autonomo e muoversi liberamente a livello parlamentare; i secondi rimarrebbero invece legati al presente establishment per difendere le proprie posizioni.

Staremo a vedere. Si sapeva che le elezioni europee avrebbero avuto ripercussioni sui partiti di governo, ma non pensavo che i sommovimenti elettorali fossero così forti. Mentre la Lega è alle prese con una schiacciante vittoria assai difficile da gestire in Italia e in Europa, il M5S rischia di essere “becco e bastonato” e chiuso in una sorta di lebbrosario dell’antipolitica.