I mangiatori di democrazia

In Lombardia e Piemonte i carabinieri e la guardia di finanza hanno emesso parecchi ordini di custodia cautelare nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza un giro di tangenti tra importanti politici, imprenditori e dirigenti tra Milano e Varese, principalmente a livello dell’amministrazione regionale. Tra gli interessati ci sono anche diversi politici di spicco del centrodestra lombardo (l’appartenenza partitica non è purtroppo una discriminante ma una questione accomunante). In totale sono 95 le persone indagate a vario titolo per associazione a delinquere e corruzione.

I giornali riportano in particolare che l’indagine avrebbe individuato un tentativo di corruzione nei confronti del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, della Lega, che però non è indagato bensì “parte offesa”. Il tentativo di corruzione sarebbe arrivato da Gioacchino Caianiello, ex coordinatore provinciale di Forza Italia a Varese, già condannato in via definitiva per concussione nel 2017. Stando al Corriere della Sera, l’episodio risale al marzo del 2018, quando Caianiello avrebbe proposto a Fontana una nomina a capo del “settore Formazione” della Regione Lombardia, in cambio di garanzie su alcune consulenze legali che sarebbero state poi richieste a un amico e collega di Fontana.

Fontana, che non è indagato, secondo i giornali non avrebbe però denunciato l’episodio: non è chiaro perché. In una conferenza stampa, il procuratore Francesco Greco ha detto che le indagini avrebbero rivelato che il collega di Fontana in questione «ha poi ottenuto un incarico dalla Regione», e che quindi si sta «accertando lo spessore e la regolarità della procedura». Se devo essere sincero, non mi sembra una questione molto rilevante, anche se magari emblematica di una certa disinvoltura nella gestione pubblica, ma anche di una certa pignoleria giudiziaria.

L’inchiesta è però molto più ampia e comprende vari filoni.  Ci puzza maledettamente di tangentopoli. Anche allora il tutto partì dalla Lombardia. Qualcuno dice che tangentopoli non è mai finita. Fatto sta che la corruzione continua ad emergere, anche se è presto per elaborare teorie e giudizi di carattere generale. Rischia tuttavia di piovere sul bagnato del qualunquismo serpeggiante nella società, che trova sbocchi assurdi e paradossali nel populismo e nel finto e strumentale perbenismo. Un mio conoscente, attento osservatore delle cose della politica, sostiene però come sia capzioso accusare di qualunquismo l’uomo della strada: qualunquismo è rubare e degradare la politica ad arte dei propri affari più o meno loschi. Ha perfettamente ragione. Non ci si può scandalizzare della stizzita reazione della gente ad un certo andazzo politico.

Bisogna fare molta attenzione alla storia passata e presente: la corruzione della politica è un disgraziato incentivo alla messa in discussione della democrazia. Temo che dietro la recente deriva pentaleghista ci stia anche e soprattutto un’accentuata insofferenza verso il sistema corrotto e inaffidabile. Stiamo offrendo acqua a chi vuole sguazzare sulle scorrettezze dello stile politico per costruirci sopra pericolose scorciatoie antidemocratiche.

Quando il grande giornalista Indro Montanelli giudicava la storia di un politico partiva proprio dalla sua etica e operava una sorta di implacabile esame finestra: si è arricchito, ha intascato tangenti, ha fatto gli affari suoi, ha fatto i propri comodi, ha saputo mettere gli interessi pubblici prima dei suoi?   Possono sembrare parametri minimalistici, invece bisogna ripartire di lì per salvare la democrazia e per sconfiggere anche le nostalgie della sbrigatività nelle risposte e maniere forti. C’è un detto parmigiano: “La pulissia l’è méz magnär”. Sembra che troppi politici pensino invece: “Magnär l’è méza pulissia”.