Aspettando Draghi

Si può governare litigando continuamente su tutto e su tutti? Ogni giorno nasce un contenzioso aggiuntivo al già pur abbondante pacchetto di scontri al calor bianco messi sotto il naso di un Giuseppe Conte sempre più attonito e ingarbugliato nella sua matassa governativa. In Italia forse da sempre c’è la tendenza a incasinare i problemi per non risolverli. Fino a qualche anno fa andava di moda l’acronimo Ucas (ufficio complicazione affari semplici). Oggi nei palazzi ministeriali romani potrebbe essere esposta tranquillamente la targa Ucag (ufficio complicazione affari governativi). È perfettamente inutile fare l’elenco dei punti di grave scontro tra i partiti politici di maggioranza e tra i loro debordanti esponenti che ricoprono importanti cariche ministeriali. Sembra che se ne comincino ad accorgere anche i cittadini, se è vero che i sondaggi, per quel che valgono, registrano un calo di gradimento per Salvini e Di Maio: sui vice-premier peserebbero infatti le liti nell’esecutivo, di cui peraltro il 60% degli elettori del Carroccio prevederebbe la caduta entro la fine del 2019.

Come sempre succede, le tensioni avvengono in un clima di grosse difficoltà economiche: quando i conti vanno bene, tutti i santi aiutano, ma quando non quadrano, le faccende si complicano. L’economia italiana, pur nel balletto contraddittorio di cifre, non va bene, anzi sta peggiorando vistosamente. I conti pubblici sono fuori controllo e su di essi gravano gli autentici macigni delle clausole di salvaguardia, dei controlli europei e dei giudizi dei mercati. Il ministro dell’economia Giovanni Tria sembra un acrobatico equilibrista costretto a camminare sulla corda delle cifre di bilancio, ma senza l’aiuto della tradizionale asta: anzi, i colleghi di governo gli gufano contro e lo mettono in ulteriore imbarazzo con i loro assurdi proclami.

La litigiosità è poi frutto anche di eclatante impreparazione e di clamorosa strumentalizzazione. Spesso si ha la netta impressione che nell’esecutivo scoppino risse su proposte improvvisate e fuorvianti, lontane dai veri problemi e vicine alle blandizie elettorali. Il governo Conte è nato nell’equivoco di una maggioranza numerica ma non politica: il presidente della Repubblica ha dovuto considerare la mancanza di alternative e prendere atto di un accordo/contratto destinato a creare inevitabili contenziosi. La mancanza di alternative continua a sussistere, perché il Pd continua ad essere in crisi di identità e credibilità, mentre il centro-destra, appiattito sull’estremismo leghista, non offre alcuna garanzia di governabilità.

In questo quadro, che verrà forse un po’ chiarito o addirittura complicato dai risultati delle elezioni europee e dai successivi indirizzi a livello Ue, se la situazione economica, come purtroppo è prevedibile, dovesse peggiorare ulteriormente e la litigiosità di conseguenza dovesse aumentare, rispunterebbe la carta del governo tecnico, dal momento che le elezioni politiche anticipate potrebbero soltanto cristallizzare una situazione di ingovernabilità.

Il mandato di Mario Draghi quale presidente della Bce scade il 31 ottobre del 2019. Non ci sono per lui prospettive di conferma, ha lavorato infatti troppo bene per essere rinnovato nell’incarico. Non so se avrà voglia di imbarcarsi in una tremenda avventura di traghettamento, ma sarebbe l’unica soluzione in grado di dare al nostro Paese una guida autorevole, esperta e competente. In attesa che la politica e i cittadini italiani rinsaviscano. La scadenza del settennato di Mattarella al Quirinale è nel maggio 2022. Restano un paio d’anni per mettere l’Italia nelle mani di questi due personaggi seri ed affidabili, che saprebbero rispettare i limiti politici ed istituzionali loro imposti, ma potrebbero costringere la politica ad uscire dal tunnel dell’inconcludenza e i cittadini a ragionare.