Tra milazzismo e spagnolismo

Nel gergo politico italiano la convergenza di due schieramenti politici diversi (destra e sinistra) per sconfiggere quello di centro si definisce milazzismo, termine che prende il nome dalla vicenda politica siciliana del 1958 in cui venne eletto presidente della Regione siciliana, con in voti dei partiti di destra e di sinistra, il democristiano Silvio Milazzo contro il candidato ufficiale del suo partito.

Questo discorso, fatte le debite differenze, è tornato di moda proprio in Sicilia nelle recenti elezioni amministrative di Gela e Bagheria, laddove è andato in scena un inedito e strano connubio tra Forza Italia e Partito democratico in base ad una profonda antipatia verso la Lega e il M5S. Qualcuno si è affrettato a definirlo un interessante laboratorio politico: mi sembra un atteggiamento piuttosto frettoloso e inconsistente, anche se non mi scandalizzo se a livello locale, ancor più a livello siciliano, possono succedere convergenze ben al di fuori degli schemi. Di qui a ipotizzare un patto del Nazareno bis ci passa molta strada.

Se la Sicilia canta stonato per i partiti dell’attuale governo pure la Spagna non scherza: il quasi certo patto della Moncloa tra socialisti e Podemos sembra dare un segnale interessante agli omologhi (?) democratici e pentastellati italiani. Di Maio si è affrettato a scongiurare il pericolo rivolgendosi con la solita insolenza al Pd: «Voi redimetevi, io sto con la Lega». Contento lui…

Mi sembra sia meglio lasciar perdere queste manipolazioni genetico-politiche per andare al sodo. Dalle urne siciliane il governo italiano esce sconfitto o almeno assai frenato nelle sue due componenti: i grillini aggiungono batosta a batosta, i leghisti ridimensionano i loro sogni di gloria. Dalle elezioni spagnole esce ringalluzzita la sinistra del partito socialista che viene spinta ad alleanze con il partito iberico antisistema: la relativa rivincita del sistema costretto tuttavia a scendere a patti con l’antisistema. Vacci a capire qualcosa…

Sullo sfondo si profilano le elezioni europee che dovrebbero affrancare le forze politiche dai tatticismi e dalle operazioni di piccolo cabotaggio per costringerli a pensare e programmare in grande: temo purtroppo che non sarà così. L’Europa dovrebbe spingerci ad uscire dal nostro particolare, mentre c’è il pericolo che le prossime elezioni europee diventino solo un’occasione per testare le misere strategie nazionali. Lega e cinquestelle sono alla spasmodica ricerca di penose alleanze continentali: sembra uno scherzo, ma vanno a rovistare nella pattumiera europea alla famelica caccia di voti e di sponde. Se continuano così si troveranno sempre più costretti a convivere fra di loro tra continui litigi nell’impossibilità di uscire dal loro splendido isolamento nazionale ed europeo.

Per il Pd e per Forza Italia potrebbe e dovrebbe essere un banco di prova non nel senso di strani connubi tra di loro, ma per trovare il respiro giusto per una corsa verso un’Europa finalmente avviata al federalismo nella riforma delle sue istituzioni e nelle politiche solidali di crescita e sviluppo. Invece il partito popolare europeo è tutto intento a delineare accordi con i sovranisti (in Italia leggi accordi fra Forza Italia e Lega). Resta il Pd. Qualcuno ha già cominciato a gufare contro l’inglobamento nelle liste democratiche del movimento messo in atto da Carlo Calenda: sarebbe in controtendenza rispetto alla riscossa identitaria del partito socialista spagnolo. Non mi interessano queste alchimie pseudo-ideologiche. Vorrei solo capire chi è d’accordo su un cambiamento di passo europeo in avanti verso la federazione di Stati progettata a Ventotene e chi invece vuole fare un salto indietro nazionalistico o comunque giochicchiare contro l’Europa.