Dove credi di andare

L’aspetto inquietante della brexit non è tanto il come riusciranno a concretizzarla, ma il come stanno arrivando alle decisioni della concretizzazione. È un tema sul quale all’inizio mi sono permesso di studiare e di raccogliere autorevoli pareri in un opuscolo che è postato tra i libri di questo sito internet. Successivamente sono andato “nel pallone” e ci sono tutt’ora: non ci sto capendo più niente. In qualche modo chiuderanno la vicenda, ma in ogni caso sarà un danno per la democrazia occidentale e per l’economia europea.

Le forze politiche inglesi sono in confusione; il governo “brexante” non riesce a trovare il bandolo della matassa; l’opinione pubblica è in piena bagarre con il suo montante e tardivo pentimento; la Ue continua a sciorinare accordi puntualmente smentiti dal Parlamento inglese; i media aggiungono polemiche e incertezze ad un quadro già molto ingarbugliato. L’impressione è che non ci si salti fuori. Sembra addirittura che la premier, in ordine alle proprie dimissioni, abbia abbandonato lo scioglilingua del “May dire mai”: avrebbe infatti politicamente offerto su un piatto d’argento (?) la propria testa pur di chiudere una penosa, squalificante e infinita telenovela.

Quello che è stato non torna indietro ed allora meglio guardare avanti e che gli inglesi vadano a farsi fottere. La vicenda dovrebbe però servire da insegnamento: se fa notevole fatica l’Inghilterra ad uscire dalla Ue, immaginiamoci cosa comporterebbe un eventuale uscita italiana. L’Unione europea non è una prigione, ma non è nemmeno un albergo a porte girevoli da cui si può uscire con disinvoltura. Per fortuna le forze politiche italiane hanno smesso di ipotizzare il divorzio dall’Europa, il solo parlarne ci ha creato serie conseguenze sul piano della credibilità internazionale, della stabilita politica e degli andamenti dei mercati finanziari. Continua però un subdolo gioco di alleanze euroscettiche e di proclami revisionisti, che mettono a repentaglio la posizione italiana nelle sue prospettive europee. Speriamo che le prossime elezioni superino queste incertezze e consegnino l’Europa a partiti “euroconvinti”: si tratta di una strada senza ritorno e, quindi, disfiamo le valigie.

Ci sono però due modi di stare in Europa, quello di vivacchiare pontificando su riforme strutturali di là da venire e quello di rimboccarsi le maniche e di lavorare per rafforzare e allargare l’integrazione. La nostra storia, la nostra tradizione, i nostri interessi ci spingono a camminare decisamente sulla strada europea, ad essere convintamente in Europa. Anche mettendo tutto sul piano della realpolitik e dimenticando i discorsi della coesistenza pacifica, del federalismo, dei diritti e dei doveri, resta comunque valida una domanda retorica: dove crediamo di andare da soli? Ma facciamoci un piacere reciproco e smettiamola di scherzare col fuoco prima che qualcuno si stufi delle nostre titubanze e ci sbatta fuori. È vero che a nessuno conviene l’uscita italiana, ma non approfittiamone, perché la pazienza potrebbe avere un limite. Oltre tutto, lo abbiamo già visto, la pazienza del sistema economico è già in bilico. Non andiamo a muovere del freddo per il letto. Sarebbe da irresponsabili! Brexit docet.