A banche scoperte

È inutile piangere sul latte versato a meno che non serva per evitare di versarne dell’altro. Nei giorni scorsi il Tribunale Ue ha emesso una sentenza in cui ha dichiarato erronea la decisione della Commissione Ue che aveva considerato improprio l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi a favore della banca Tercas in quanto aiuto di Stato, con la drammatica ricaduta del fallimento di questa ed altre quattro banche italiane.

È immediatamente partito lo scaricabarile: il commissario Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, sostiene infatti che sia stata Banca d’Italia a mettere le banche in risoluzione. Fatto sta che venne impedito un intervento finanziario che avrebbe potuto evitare il tracollo di Tercas, di ulteriori quattro banche e la contaminazione a livello sistemico per una crisi che poteva essere gestita in modo pragmatico e circoscritto (parole di Roberto Nicastro, ex commissario che guidò il processo di vendita forzosa delle banche in questione). Dopo il danno, per l’Italia arriva la beffa: avere ragione quando ormai le frittate sono fatte. A tale proposito esiste un noto detto parmigiano:”la ragión la s’dà ai cojón”.

Non ho la competenza e la voglia di approfondire tecnicamente questa vicenda, tento soltanto di trarne una riflessione di ordine politico. L’Unione Europea ha la tendenza ad intervenire a gamba tesa sulle situazioni di difficoltà emergenti in certi Paesi membri: la tecnicalità economica tende ad avere la prevalenza sull’approccio politico. Non si capisce se il fatto sia dovuto allo strapotere della burocrazia dei palazzi europei, all’invadenza dei Paesi forti preoccupati di difendere un esagerato rigorismo a senso unico, alla fragilità dei Paesi deboli ed alla loro incapacità di fare massa critica, ad una certa confusione istituzionale che finisce col creare i presupposti per un lavoro più di scure che di fioretto.

Sarebbe molto interessante ed importante se i governanti italiani, anziché perdersi in inutili scaramucce con i partner europei, operassero una seria ed approfondita analisi di eventuali trattamenti discriminatori o punitivi adottati nei confronti del nostro Paese e si sforzassero di individuare meccanismi compensativi degli errori passati e aggiustamenti procedurali per evitare gli errori futuri. Il tutto senza alcun intento provocatoriamente antieuropeo, ma solo ad onor del vero e per rafforzare la collaborazione, togliendo dal campo ogni e qualsiasi equivoco o rivalsa. Servirebbe a stemperare e chiarire il clima che accompagna le prossime elezioni del Parlamento europeo.

Si dice che un europeista convinto come il ministro Giovanni Marcora non fosse troppo accondiscendente con gli atteggiamenti perbenisti del Nord-Europa e che spesso sbottasse con invettive del tipo: “E io cosa vado a raccontare agli agricoltori italiani?”. Si impuntava e riusciva ad ottenere molto di più rispetto ai balli nel manico degli attuali euroscettici. Quando è ora, è necessario avere il coraggio di puntare i piedi. Certo, bisogna avere credibilità, autorevolezza, serietà per saperlo fare, altrimenti si finisce nel ridicolo. E noi ci stiamo finendo a tutta canna. Al riguardo ho sempre il dubbio atroce che negli armadi italiani si nascondano parecchi scheletri e che, quindi, sia meglio stare zitti e ingoiare i rospi: se è così, chiedo scusa del disturbo alla Ue ed auspico l’apertura degli armadi, da parte di tutti però, costi quel che costi.