I fanfaroni e le cretinette

I carabinieri stanno indagando su un presunto traffico di influenze illecite per le procedure di realizzazione del nuovo stadio della A.S. Roma calcio, per la costruzione di un albergo all’ex stazione ferroviaria di Trastevere e per la riqualificazione degli ex Mercati generali di Roma Ostiense. Nell’ambito di questa indagine sono state eseguite 4 custodie cautelari, fra le quali una riguardante Marcello De Vito, presidente M5S dell’Assemblea Capitolina in quanto avrebbe favorito il progetto dell’imprenditore Parnasi sullo stadio.

Non mi scandalizzo del fatto in sé, innanzitutto perché occorrerà aspettare che le responsabilità vengano acclarate, provate, giudicate ed eventualmente condannate. Sono sinceramente stanco di questa caccia alle streghe. In secondo luogo non mi sento nemmeno di squalificare il M5S, copiandolo nella generalizzazione strumentale da esso adottata nei confronti degli altri e assimilandolo all’andazzo corruttivo con uno sbrigativo “così fan tutti”. Una cosa è certa: non basta essere iscritti a questo movimento per essere onesti, non bastano i grillini a cambiare volto al modo di fare politica, non basta gridare al lupo per difendersi da esso e non imparare ad ululare.

Mi ha invece irritato, indispettito e schifato la reazione all’accaduto del loro sempre più impettito, gasato e insopportabile leader Luigi Di Maio: «Marcello De Vito è fuori dal Movimento 5 Stelle. Mi assumo la responsabilità di questa decisione come capo politico e l’ho già comunicata ai probiviri. De Vito non lo caccio io, lo caccia la nostra anima, lo cacciano i nostri principi morali, i nostri anticorpi. Ciò che ha sempre distinto il Movimento dagli altri partiti è la reazione di fronte a casi del genere». Non è affatto vero che si siano sempre comportati con questa, peraltro bigotta, tempestività: hanno adottato spesso due pesi e due misure, intervenendo freneticamente nei casi politicamente meno problematici e tergiversando su quelli più imbarazzanti e spiazzanti. Probabilmente Di Maio si è montato la testa e crede di avere carisma sufficiente per fare e disfare: se va avanti così, fra un’espulsione e l’altra, temo si troverà solo soletto a chiedere un piatto di minestra a Salvini, in attesa che finalmente gli elettori facciano giustizia di un fanfarone in doppio petto, sprizzante presunzione e incapacità dai pori della pelle. Espulso De Vito, riconquistata la verginità, risolto il problema della corruzione: tra l’altro proprio nel momento in cui si fa un gran parlare di decreti sblocca-appalti, che potrebbero sveltire le manovre, ma aprire voragini nella correttezza delle procedure (questo non per difendere la imperante burocrazia, ma per significare come i problemi siano complessi al di là delle bacchette magiche grilline e delle accette leghiste).

Devo ammettere che l’altro fanfarone di turno, il leghista Matteo Salvini, a parità di scemenze e cazzate sparate a raffica, riesce ad essere meno antipatico del suo pari grado vice-premier. In contemporanea, ringalluzzito dall’aver incassato il no del Senato all’autorizzazione a procedere nei suoi confronti,  si è lasciato andare a ribadire la sua scontata e prevenuta ostilità nei confronti delle ong (l’occasione è stato il sequestro della nave Mare Jonio), ma, quel che più mi ha infastidito, ha reagito, in modo scriteriato e triviale, all’evento che ha visto un autista di pullman sequestrare i 51 passeggeri, ragazzi in  trasferimento scolastico, per poi incendiare il mezzo, fortunatamente dopo che i ragazzi erano riusciti ad allontanarsi per la prontezza intuitiva di uno di loro e per l’intervento tempestivo dei carabinieri. Il responsabile di questa drammatica avventura sulla strada Paullese a Pontigliato (Mi) è un italiano di origine senegalese, pare con precedenti penali, il quale, dopo aver appiccato il fuoco, avrebbe urlato: «Lo faccio per i migranti, basta morti nel Mediterraneo». Ebbene, il ministro Salvini si è affrettato a buttare ulteriore benzina sul fuoco della paura e del panico, lanciando dubbi sul fatto che questo soggetto potesse guidare un pullman nonostante avesse la fedina penale piuttosto sporca e facendo un clamoroso autogol (chi infatti avrebbe dovuto ritirargli la patente di guida se non uffici ed organi della pubblica amministrazione di cui il ministero degli Interni non è parte marginale). È cioè virtualmente ed irresponsabilmente entrato nel primo bar disponibile ed ha cominciato a parlare davanti ai microfoni ed alle telecamere, sempre pronti a raccogliere gli sfoghi dei politici e sempre sordi ai ragionamenti politici. Non si può stare contemporaneamente al Ministero degli Interni ed al bar: l’ubiquità non è compatibile con la politica. Cosa non si fa per catturare qualche consenso sulle ali dello sgomento collettivo!? Non gli è passato neanche per l’anticamera del cervello di chiedersi se non sia il caso di raffreddare il surriscaldato clima di intolleranza, rancore, conflitto da lui alimentato con comportamenti, che – pur non considerati come reati – proprio perché adottati da un ministro nelle sue pubbliche funzioni, sono ancor più gravi e devastanti.

Alle solite cretinette, ingaggiate dai media (mi scandalizzo della Rai) per rincorrere questi assurdi personaggi e registrare le loro ancor più assurde dichiarazioni, non viene mai l’ispirazione di controbattere qualcosa del tipo: “ma lei non crede che l’atmosfera pesante instaurata sul problema degli immigrati andrebbe un tantino diradata, immettendo raziocinio anziché fomentando paure e chiusure?”. E, per tornare a Di Maio e alle sue espulsioni facili (?), non gli si dovrebbe immediatamente contestare un comportamento a dir poco ondivago e l’illusione di risolvere il problema della corruzione spargendo veleni in casa altrui e facendo pulizie sommarie in casa propria? Niente, silenzio da parte delle cretinette (e dei cretinetti) a cui non si riesce a capire chi abbia dato in mano un microfono per giocare al giornalista. Ai miei tempi i ragazzini giocavano al dottore per autoiniziarsi alla sessualità, oggi i giovani giocano al giornalista per autoiniziarsi a non lavorare seriamente, a non capire niente fin dall’inizio della carriera e per confondere le idee a tutti.