Il sindacalista galantuomo

Riconosco la fondamentale funzione del sindacato dei lavoratori nell’ambito della società liberaldemocratica: è una delle cosiddette forze intermedie, che dovrebbe svolgere un ruolo di rappresentanza del mondo del lavoro, di saldatura dialettica con la politica, di confronto con le istituzioni, di dialogo con l’intera società. La debolezza del sindacato comporta debolezza di tutta la democrazia.

Negli ultimi anni la progressiva perdita di ruolo è stata dovuta a errori di carattere interno: da una parte la eccessiva politicizzazione, dall’altra lo sterile corporativismo, dall’altra ancora il difficile adeguamento alla nuova configurazione del lavoro nelle sue diverse e moderne sfaccettature. Dall’esterno poi è venuta una demolizione, quasi un’esorcizzazione del sindacato da parte della politica, presuntuosamente egemonica sui rapporti sociali ed economici del Paese. Essere critici e favorire una revisione del sindacato dei lavoratori non vuol dire sottovalutarli o addirittura bypassarli.

Nel recente passaggio di leadership nella CGIL da Susanna Camusso a Maurizio Landini mi pare di intravedere qualcosa di nuovo e di positivo: un cambio di atteggiamento dalla solita e sempre più insignificante polemica pregiudiziale alla dura, schietta e onesta volontà di confronto. Su questa nuova linea gioca la storia e la credibilità di Maurizio Landini, un sindacalista a tutto tondo, che non viene dal palazzo ma dalla fabbrica, che rappresenta l’anima vera del sindacalismo.

Ne ho avuto la riprova durante un recente dibattito televisivo (a otto e mezzo su la7) durante il quale Landini è riuscito a incutere rispetto e attenzione nei suoi interlocutori, distogliendoli dalle solite scaramucce mediatiche per portarli alla sostanza dei problemi: molto chiara e stimolante la sua analisi sulla povertà, tolta dalla marginalità dell’assistenzialismo e portata al centro dei rapporti socio-economici. Il povero è colui che non lavora, ma anche chi lavora ed ha una retribuzione decisamente scarsa: apprezzabile e condivisibile la coniugazione della povertà col lavoro.

Poi la chicca finale, la trasparente e inattaccabile situazione economica personale di Maurizio Landini spiattellata opportunamente davanti a tutti: ha detto a quanto ammonta il suo stipendio (certamente non d’oro e nemmeno d’argento, forse nemmeno di bronzo: i suoi interlocutori erano interdetti, perché forse facevano il raffronto con la ben più alta remunerazione  per le loro chiacchiere esistenziali e professionali); ha ammesso tuttavia onestamente di non aver mai avuto uno stipendio così alto (3.700 euro netti al mese) ed ha fornito precisazioni su tutta la sua vita professionale e sulla sua posizione pensionistica. Una bella ventata di aria fresca e pulita! È un galantuomo credibile e capace, forse un po’ troppo duro di carattere, schietto e polemico ma non demagogico, col quale si può parlare e collaborare nella chiarezza. Il mondo politico sappia cogliere questa novità e riapra un dialogo costruttivo di cui si sentiva da tempo la mancanza.