La pancia ideologica

Come al solito i ricordi servono ad interpretare il presente. Durante le animate ed approfondite discussioni con l’indimenticabile amico Walter Torelli, ex-partigiano e uomo di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta constatavamo come alla politica stesse sfuggendo l’anima: se ne stavano andando i valori e rischiava di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restava che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti: dopo il craxismo, che aveva intaccato le radici etiche della democrazia, venne il berlusconismo a rivoltare il sistema creando un vero e proprio regime, da cui siamo stati e siamo tuttora condizionati.

La caduta delle ideologie, più o meno contestuale alla caduta del muro di Berlino, avrebbe dovuto liberare la politica dalla zavorra degli schematismi per lanciarla sul pragmatismo della soluzione ai problemi concreti. Ebbene il post-ideologismo ci ha regalato invece una politica affaristica, sempre più compromessa col sistema economico, sempre più lontana dai cittadini e sempre più avviata sul terreno scivoloso e melmoso della corruzione. E allora per reazione ecco rispuntare le ideologie con tutto il peggio che le connotava: i risorgenti populismi e sovranismi altro non sono che un revival dei catastrofici nazionalismi, riproposti in chiave moderna ma sostanzialmente analoga alle disastrose avventure del novecento.

Fin qui il gioco è talmente scoperto da essere facilmente snidato e decisamente combattuto. Esiste però una riproposizione assai più subdola e pericolosa, che sta connotando la prassi governativa italiana: si va avanti a suon di scelte ideologiche ed elettoralistiche. Le questioni fondamentali, sollevate in questo anno dal governo giallo-verde all’insegna di un assurdo contratto del cambiamento, vengono affrontate in senso squisitamente ideologico, con la politica (il parlamento) mandata in vacanza, con i partiti (M5S e Lega) ridotti a penosi contenitori mediatici, con leadership impreparate e catapultate sulla scena ad improvvisare risposte alle paure strumentalmente gonfiate, con l’opposizione derisa, colpevolizzata   e costretta a recitare la sua parte bivaccando “nell’aula sorda e grigia” di fascistica memoria. .

Prendo i quattro esempi più emblematici. Parto dal provvedimento sulla legittima difesa: siamo al passaggio dal concetto di ordine a tutti i costi, garantito dallo stato poliziesco, a quello della difesa personale garantita dall’individuo poliziotto e giudice per se stesso. E cosa è la concessione del reddito di cittadinanza se non l’edizione riveduta e scorretta di un assistenzialismo di regime, che nulla ha da spartire con la repubblica fondata sul lavoro. E che dire della pensione anticipata falsamente regalata nel contesto di una illusoria politica occupazionale dirigista e burocratica. Ed eccoci alla Tav: l’analisi dei costi benefici non serve per arrivare ad una decisione di sviluppo compatibile, ma si parte da una demagogica idea, degna del peggior cretinismo ecologico, per cercare il supporto in astrusi e artificiosi calcoli economici.

A questo punto il contratto di governo sta diventando un mix pseudo-ideologico tra destra e sinistra, un compromesso tra visioni contrapposte e per certi versi estremisticamente collegabili. Non si tratta di superamento della tradizionale distinzione politica fra destra e sinistra, si tratta di un polpettone riveduto e scorretto sbattuto in faccia alla gente che della politica è costretta a non capire più niente. Il compromesso terrà? Forse sì, perché “un colpo ideologico qui, un colpo ideologico là” può bastare ad irregimentare ed accontentare un po’ tutti.