Le dimissioni della (o dalla) dignità

Due questioni gettano discredito, negatività e preoccupazione sul nostro Paese. L’economia, secondo le stime e le valutazioni del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea, sta andando male, molto peggio rispetto agli altri Paesi Euro, con una crescita ridotta al lumicino, con lo spettro di una vera e propria recessione, con la probabile necessità di dolorose correzioni sui conti pubblici, con la festa del dopo manovra appena cominciata e già finita. Il governo nega l’evidenza, attacca in modo scriteriato il Fmi, non prende sul serio gli avvertimenti comunitari, gioca a fare la vittima e conferma sostanzialmente le proprie rosee previsioni: la parte recitata in Parlamento da Giovanni Tria, ministro dell’economia e delle finanze, è risultata come una penosa e stucchevole difesa d’ufficio.

Poi c’è la questione francese. I cugini d’oltralpe si sono stufati di essere attaccati dal nostro governo: su parecchi capitoli sono state lanciate autentiche bordate contro la politica francese in materia di immigrazione, di rapporti con l’Africa, di rifugio ai terroristi, di Tav, di gilet gialli. Quasi ogni giorno parte un siluro polemico verso la Francia: un vice-premier e leader del più importante partito di governo che fa la corte alle frange più estremiste dei ribelli francesi non è certamente un segno di rispetto e amicizia nei confronti di un Paese alleato e di un partner europeo. Enzo Moavero Milanesi assiste silenzioso a questi incidenti diplomatici: è stato addirittura ritirato l’ambasciatore a Roma (il precedente risale al 1940, dopo che la dichiarazione di guerra di Mussolini venne consegnata alla Francia). La politica estera del governo gli passa sopra la testa e lui, come si suol dire, abbozza.

Questi signori erano entrati al governo per fare da contrappeso tecnico agli strafalcioni politici, per riequilibrare e moderare le spinte oltranziste di un governo sbilanciato e sbracato: missione totalmente fallita. Qualcuno ritiene che Moavero e Tria siano le quinte colonne quirinalizie all’interno del governo Conte. Se Mattarella pensava di avere in essi punti di riferimento e di controllo delle situazioni, ha sbagliato per eccesso di fiducia. Ma lasciamo perdere Mattarella, che sta facendo tutto il possibile, anche troppo, per pararci i colpi. Questi due ministri, se avessero un minimo di dignità, dovrebbero dimettersi e andarsene a casa, facendo un po’ di ordine a livello di governo, togliendo ad esso le loro foglie di fico che non servono a nulla, prendendo atto di avere fallito la loro missione (se mai ce l’avessero avuta).

Invece continuano a scaldare le loro scomode seggiole, stanno perdendo reputazione e, tutto sommato, fanno un pessimo servizio al Paese. A questo punto serve chiarezza: non si può continuare a governare nell’equivoco e nell’incertezza. Battano un colpo e tolgano il disturbo. Potrebbero ancora recuperare in extremis un briciolo di credibilità. Se lo sapranno fare, meriteranno un grazie di vero cuore. Diversamente, quando li vedremo ai loro posti, non potremo che compatirli.