La tav…olata del governo scombinato

Non ho capito se la questione TAV sia effettivamente un argomento divisivo nei rapporti tra cinquestelle e leghisti o se sia soltanto il pretesto per far finta di litigare per poi magari litigare sul serio e arrivare alla separazione. Da quanto è dato sapere il problema (non) era affrontato nel contratto di governo. In esso infatti è scritto: “con riguardo alla linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”.

L’analisi costi-benefici a cui si è tentato di legare la soluzione del problema è arrivata a precisare i costi: due miliardi per fermare i lavori, tre miliardi per completarli. Quanto ai benefici è praticamente impossibile quantificarli, perché si spalmano nel tempo sull’intera comunità in termini di migliori comunicazioni, di minor inquinamento, di impulso ai traffici, di collegamenti più veloci, etc. I grillini scantonano, valutando cosa si potrebbe fare di meglio a livello di infrastrutture con gli stessi soldi: altro discorso piuttosto astruso e demagogico. C’è sempre un modo migliore per spendere: siamo al benaltrismo degli investimenti pubblici infrastrutturali.

La popolazione è divisa: lo scontro avviene più ideologicamente che programmaticamente: da una parte gli sviluppisti al limite dello scriteriato “andare avanti anche se si rischia di andare a sbattere”; dall’altra parte gli ambientalisti al limite del “cretinismo ecologico”. Il problema va tolto dalle secche ideologiche per essere portato sul piano delle scelte strategiche di uno sviluppo compatibile. L’operazione andrebbe fatta da una classe dirigente governativa competente e lungimirante: due qualità che mancano all’attuale compagine governativa.

I debutti governativi dei grillini sono sempre caratterizzati, a qualsiasi livello, da questioni strutturali affrontate con l’accetta: forni inceneritori per i rifiuti, Tav e Tap. Chi si pone in antitesi (non in alternativa) rispetto al passato ha bisogno di dare eclatanti segnali rivoluzionari di cambiamento, che poi generalmente si rivelano fuochi fatui, perché la continuità sistemica incalza e impedisce la distruzione di quanto già esiste.

Allora, o ci si converte frettolosamente al pragmatismo con il contraccolpo populista del tradimento o si insiste col fanatismo nuovista e ci si condanna alla paralisi governativa. I leghisti non si vogliono far stritolare da questa macchina “schiacciapartiti”; anch’essi puntano all’antipolitica, ma tendono a sposare la tesi del continuismo economico coniugandola con la versione egoistica del garantismo sociale. Credo sia questo il nodo fondamentale che si stringe attorno ai rapporti tra M5S e Lega. Sulle tante questioni, che quasi giornalmente emergono, si staglia lo spettro di cui sopra.

Fin che sarà possibile proveranno a tirare a campare, gara sempre più dura; quando non sarà più possibile tireranno le cuoia. Qualcuno dirà che negli accordi di governo è sempre stato così: non è vero. C’erano idee diverse, linee politiche diverse, priorità diverse, personalismi vari. Non c’era alla base il proposito di picconare il sistema e non si litigava sul piccone da usare. Oggi invece è così.