I cortili transazionali ed antieuropei

Sono cominciati ufficialmente i viaggi pastorali alla ricerca delle pecorelle europee da ingaggiare in vista delle prossime ed imminenti elezioni. Salvini e Di Maio litigano su quasi tutto: è il riflesso di una convivenza governativa obbligata e travagliata, ma anche del posizionamento in vista della consultazione elettorale europea, che dovrebbe costituire la prova del fuoco per il futuro di Lega e M5S.

I bambini, quando litigano, si ritirano indispettiti nei propri cortili a giocare con gli amicissimi, salvo poi litigare anche con i più fedeli compagni. Ebbene anche Salvini e Di Maio sono alla spasmodica e dimostrativa ricerca dei loro cortili europei, forse sarebbe meglio dire dei loro pollai, dal momento che in essi esistono troppi potenziali galli in competizione sovranista e populista.

Matteo Salvini fa l’amicone col polacco Kaczynski, con l’ungherese Orban, con la francese Le Pen, con lo svedese Akesson, con l’olandese Wilders: una squadretta niente male a servizio degli ultras nazionalisti, con il chiaro obiettivo di buttare all’aria l’Europa, facendone l’improbabile coacervo degli egoismi nazionali.

Luigi Di Maio vede i suoi futuri possibili alleati nel polacco Kukiz, nel croato Sincic, nella finlandese Kahonen, leader di movimenti alternativi, nei loro rispettivi Paesi, ai partiti tradizionali: la variegata combriccola dell’anti-politica, schierata, lancia in resta, contro i fantomatici poteri forti dell’Europa ed i burocrati invadenti della Ue.

Sono cominciate le grandi (?) manovre, che intendono intaccare la storica contrapposizione tra popolari e socialisti. Non so quale sarà la risposta di questi due nemici/alleati: si chiuderanno nei loro gusci europeisti cercando di isolare e marginalizzare i contestatori a destra e manca oppure corteggeranno questi rompicoglioni, facendo finta di disprezzarli per poi comprarli in una confusionaria bottega europea.

La politica è condizionata da una scelta di fondo: tornare allo schematismo ideale e valoriale destra-sinistra, che a livello europeo si connota nello scontro tra europeismo ed euroscetticismo, oppure rimescolare tutto nella pentola in ebollizione ed estrarne nuove minestre sulla base di sconclusionate ricette. La situazione è assai problematica per essere governata a livello di pentolone europeo e allora ogni Stato membro potrebbe ripiegare sulla propria pentola, in una cucina incasinata dove odori e sapori finirebbero col nauseare gli elettori, allontanandoli ulteriormente dalla rimanente e modesta sensibilità europea.

Purtroppo non vedo leader in grado di ergersi a livello transnazionale, capaci di rilanciare in senso deciso ma innovativo il progetto di Europa: in questo caso la politica ha più che mai bisogno di pensare in grande, mentre la cultura dominante è tutta ripiegata sul piccolo. Il futuro passaggio elettorale potrebbe ricacciarci indietro nella storia: esistono molti segnali negativi e preoccupanti. L’Italia ne è portatrice: tutti ci guardano in cagnesco, siamo i lebbrosi dell’Europa. Ci stiamo chiudendo nel nostro lazzaretto pentaleghista, ma facciamo anche incursioni in campo aperto col rischio di propagare l’infezione sovranista e/o il virus populista.

Di fronte a questo marasma sostanzialmente antieuropeo sarà meglio puntare a un grande rassemblement a difesa delle attuali istituzioni europee o ad un coraggioso, selettivo e rifondante ritorno ai valori pionieristici da cui partirono i “sognatori” europei? Meglio il pragmatico consolidamento dell’esistente o la rischiosa e fantasiosa ripartenza ideale? Siccome la politica senza ideali non porta bene…