Le repubbliche degli ignoranti

L’ex candidato presidenziale repubblicano Mitt Romney ha lanciato un duro attacco al presidente americano Donald Trump, proponendosi come nuova voce critica del Grand Old Party dopo la morte di McCain e l’uscita di scena di alcuni senatori ‘dissidenti’. Romney sostiene che la condotta di Trump “negli ultimi due anni, in particolare le sue azioni in questo mese, sono la prova che il presidente non è stato all’altezza dell’incarico” e che la presidenza Trump è “caduta profondamente” in dicembre con “le partenze del capo del Pentagono Jim Mattis e del capo dello staff della Casa Bianca John Kelly, la nomina di alti dirigenti di minore esperienza, l’abbandono degli alleati che hanno combattuto accanto a noi”.

In Italia il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, si è dimesso dal suo incarico con motivazioni inquietanti: “Questo governo ha posizioni antiscientifiche. Un vicepremier dice che per lui, da padre, i vaccini sono troppi e dannosi. Ma che vuol dire? Frasi insensate anche su termovalorizzatori e legami tra immigrazione e malattie”. Non mi interessa se effettivamente i motivi della rinuncia siano questi o rientrino in un gioco politico e in scontri polemici con pesanti accuse reciproche. Il punto sta nel fatto che le accuse di Ricciardi al governo sono oggettive e trovano ampio ed indiscutibile riscontro.

Due episodi che nella loro gravità ci stanno a dimostrare ulteriormente che, per quanto concerne Trump, il mondo è nelle mani di un personaggio culturalmente, prima che politicamente, inadeguato, mentre, per quanto riguardo l’Italia, l’attuale governo è, addirittura, scientificamente inaffidabile. Prima della politica dovrebbero venire la scienza, la cultura, la preparazione, l’esperienza: sono diventate un optional, non servirebbero a nulla, sarebbero un fastidioso orpello in mano ai poteri forti. Della serie meglio ignoranti che venduti al potere.

Mio padre mi ha insegnato che durante il periodo fascista il più ignorante e stupido personaggio, per il solo fatto di avere in tasca la tessera di partito, poteva essere tranquillamente collocato in importanti posizioni non solo politiche, ma anche culturali e scientifiche. Un male che purtroppo dal fascismo (e da tutti i regimi anti-democratici) è stato trasmesso al partitismo. Mentre però il partitismo è una degenerazione della democrazia, l’autoritarismo nega la democrazia nei suoi presupposti, fra cui ci dovrebbe essere il pieno riconoscimento dell’autonomia della scienza e della cultura. Stiamo cioè rischiando grosso, sovvertendo, in nome di un fantomatico potere popolare, l’impostazione delle regole democratiche (l’autonomia della cultura, l’indipendenza della scienza, la separazione dei poteri, il ruolo del Parlamento, il rispetto della professionalità dei quadri dirigenti).

C’è un filo nero che collega Trump, Putin, Erdogan, Bolsonaro, Duterte, Orban, Salvini e Di Maio: il sentirsi autorizzati, in base ad un mandato elettorale, talora assai discutibile nella quantità e qualità dei consensi, a rimettere in discussione le basi della vita di una società democratica. Passiamo dalle monarchie assolute alle repubbliche ignoranti: molto più pericolose le seconde rispetto alle prime.

Ricordo i rari colloqui tra i miei genitori in materia politica: tra mio padre antifascista a livello culturale prima e più che a livello politico e mia madre, donna pragmatica, generosa all’inverosimile, tollerante con tutti. «Al Duce, diceva mia madre con una certa simpatica superficialità, l’à fat anca dil cozi giusti…». «Lasemma stär, rispondeva mio padre dall’alto del suo antifascismo, quand la pianta l’é maläda in-t-il ravizi a ghé pòch da fär…». Poi si lasciava andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…». Non so quale sarà la parabola dei suddetti inquietanti personaggi, mi preoccupa molto cosa sarà di noi che stiamo perdendo il buon senso della democrazia.