Un premier di cartone

Ho seguito, seppure parzialmente, la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: non riesco a definire compiutamente questa performance di stampo pirandelliano. Il premier italiano è un personaggio molto strano, che viaggia sul filo del rasoio della pseudologia fantastica o bugia patologica, vale a dire dell’elaborazione intenzionale e dimostrativa di esperienze ed eventi molto poco probabili e facilmente confutabili. Il suo parlare resta costantemente in bilico tra verità e bugie, quando non riesce ad essere clamorosamente sgusciante.

Ascoltandolo, si passa continuamente da un cauto giudizio di relativa abilità e capacità a una netta e inappellabile condanna per impreparazione politica e tecnica: non ha infatti le conoscenze e l’esperienza tecnica per supplire alle evidenti carenze di carattere politico. Il tutto viene condito con un certo savoir faire, col quale si sottrae alle polemiche stringenti ed alle critiche pesanti. È molto attento a non esporsi troppo in prima persona, ben consapevole dei condizionamenti partitici che lo stringono da ogni parte, nello stesso tempo è abilmente capace di smarcarsi dai tallonamenti grillini e leghisti ponendosi come mediatore tra queste forze politiche assai diverse e molto imprevedibili.

Non mi sentirei di definirlo un “bagolone” e nemmeno un “gabbiano”. È dotato di una certa abilità dialettica, con la quale riesce a districarsi nelle situazioni più ingarbugliate. Porta una certa moderazione di toni in un governo di urlatori, aggiunge un tocco di classe ad una compagine sgangherata, brutale e rozza. Tutto sommato si riesce ad ascoltarlo, ma, quando ha finito di parlare, ci si chiede cosa abbia detto.

Faccio qualche piccolo esempio. Gli viene imputato il fatto di aver fatto approvare la manovra economica a livello parlamentare con un drastico “prendere o lasciare”. Fortunatamente non nega l’evidenza, ma si giustifica con i tempi stretti imposti dalla faticosa trattativa con la Commissione europea e con la conseguente necessità di trovare i correttivi di bilancio per renderla digeribile in sede Ue. È stato necessario correre per evitare la procedura d’infrazione e trovare la quadratura del cerchio. Non è proprio così: si doveva partire per tempo col piede giusto invece di puntare ad un pericoloso tiro alla fune con le istituzioni europee. Quando si è capito di non poter esagerare e si è scesi a più miti consigli, i tempi stringevano e il Parlamento è andato a farsi benedire.

Gli viene contestato il fatto di avere trascurato punti importanti del programmo (contratto) di governo, come la lotta all’evasione, l’alleggerimento fiscale per il ceto medio, il sostegno alle imprese, ed altro: lui si sottrae alle critiche, chiedendo tempo e garantendo la durata istituzionale del suo governo. Non è proprio così: il problema è che tra il dire elettorale e il fare governativo c’è di mezzo il mare della finanza pubblica. Quando gli si fa presente come le forze che lo sostengono siano piuttosto litigiose e marchino nette differenze su punti programmatici assai rilevanti, lui si schermisce e si rifugia nel suo fantomatico carisma di “primus inter pares” e nella sua vacua capacità di mediare. Infatti, di carisma ne ha ben poco, di abilità mediatrice ancor meno, il tutto si risolve nella confusione o nel rinvio.

Devo ammettere di averlo inizialmente sottovalutato e successivamente snobbato. Ora che il suo profilo emerge con maggiore evidenza, confesso di essere perplesso e sfiduciato. Mia sorella, per certi versi più netta di me nei giudizi, direbbe, usando una gustosa espressione dialettale: “niént pighè in t’na cärta” oppure “da lù a niént da sén’na…”. Mio padre lo assolverebbe con un generoso “al n’é miga un stuppid”. Io rimango sulle mie, non mi sento di buttargli la croce addosso, ma nemmeno di dargli credito. È un uomo garbato, non è uno sbruffone, non è antipatico, sa stare al suo posto. Cosa riesca a combinare è tutto un altro discorso…