Il fiume carsico del maschilismo

Ogni femminicidio ha dietro di sé una specifica e tragica storia, dove l’amore diventa odio, il tradimento sfocia in vendetta, la nostalgia chiama il rancore, il rimpianto sconfina in disperazione, la sofferenza esplode in violenza. Nessuna vicenda è uguale all’altra, ognuna ha una sua tortuosa e delittuosa strada.

Di fronte a queste tragedie provo un senso di grande pena. Non mi scandalizzo, soffro pensando al dramma dei protagonisti, mi commuovo di fronte alla fine impietosa a cui vengono sottoposte le donne, al collaterale tremendo coinvolgimento dei figli, alla scia improsciugabile di sangue lasciata in queste famiglie. E gli uomini autori di queste violenze? Se si suicidano chiudono un cerchio autenticamente infernale (perso il barlume di paradiso, si buttano a capofitto all’inferno), se rimangono in vita dovranno fare i conti con un incancellabile rimorso. Siamo di fronte a fatti di sangue, che hanno qualcosa in più di negativo, perché hanno l’ardire di giustificare la trasformazione del bene in male e di mettere ordine nei sentimenti con la violenza torturatrice e mortifera.

Nei femminicidi, assieme a deformazioni e deviazioni umane particolari, troviamo la sintesi storica, culturale e persino religiosa dei mali del maschilismo: la sotterranea e generale sottovalutazione della donna trova sfoghi, così come il magma endogeno viene in superficie a livello vulcanico.  C’è quindi un’antica e diffusa responsabilità a cui molto difficilmente si riuscirà a far fronte: il vento seminato nei secoli comporta la raccolta di tempeste. Molto probabilmente il maschilismo rimaneva sotto traccia nel senso che la donna sopportava la violenza quotidiana, la prevaricazione sociale, la colpevolizzazione subdola: dal momento in cui essa si ribella ed esce dalle inaccettabili convenzioni, portando allo scoperto scontri latenti e soffocati, diventa il bersaglio contro cui si scatenano le reazioni della belva- maschio che si sente ferita.

Intendiamoci bene, la donna non è un angelo e l’uomo non è un demonio. Questo schema è stato addirittura strumentalizzato, considerando ipocritamente la donna quale “angelo del focolare”, che, come tale, se trasgredisce, diventa l’angelo ribelle, il demone da giustiziare. Fin tanto che la donna accetta supinamente il suo ruolo subordinato, merita rispetto e considerazione; quando si mette in posizione eretta diventa il nemico da combattere senza esclusione di colpi. E allora partono gli angeli vendicatori, che di angelico non hanno niente e di vendicativo hanno tutto. Addirittura può scattare una sorta di “occhio per occhio, dente per dente”: a farne le spese, chissà perché, sono soltanto gli occhi e i denti delle donne.

Non credo troppo alla socializzazione del conflitto. Ben vengano manifestazioni di protesta e solidarietà. Sono auspicabili iniziative sociali a difesa delle donne in difficoltà. È doverosa la preventiva attenzione poliziesca e giudiziaria ai drammi delle donne perseguitate da maschi inconsolabili (o soltanto violenti, perché toccati nel loro pretestuoso orgoglio). L’inversione di marcia sta però nella rifondazione culturale e sociale del nostro vivere. La rottura di una convivenza non è un fatto positivo, ma nemmeno la causa per distruggere tutto. La tanto bistrattata indissolubilità del matrimonio, giustamente criticata a livello religioso in quanto fossilizzata in un dogma penalizzante e discriminante, viene somatizzata nel privato al punto da costituire un fatto irrinunciabile, pena la morte della donna. Il divorzio, istituto giustamente salutato a livello politico come conquista di libertà e come diritto civile, non è mai entrato nella mentalità ed è tuttora vissuto come tragedia foriera di ulteriori tragedie. Siamo progressisti in casa altrui e retrogradi in casa nostra.

Il femminicidio è un male che mi sento addosso, come maschio, come uomo, come cittadino, come cristiano, come persona. C’è qualcosa di troppo che anch’io devo rimuovere, nella mia mentalità, nella mia cultura, nella mia vita. Un cammino in cui devo lasciarmi prendere per mano dalla donna. Solo lei può guarirmi. Vale per me, forse vale per tutti.