Fatto l’accordo, attenti agli inganni

Sembra fatta. Tra Italia e Ue tanto tuonò che non piovve: forse i fulmini e le saette, che partivano rispettivamente da Roma e Bruxelles, si sono annullati a vicenda e il cielo sembra essersi rasserenato. La quiete dopo la tempesta o in attesa della tempesta? Chi vivrà, vedrà. Da parte mia tiro un sospiro di sollievo, non per una considerazione positiva sulla manovra economica del governo, nemmeno per una ammirazione ante litteram delle istituzioni europee e loro regole, neanche per la ritrovata calma dei mercati finanziari, pronti a ripartire in picchiata speculativa al primo stormir di fronde, men che meno per le vittorie di Pirro di pensionandi quota cento e di potenziali fruitori del cosiddetto reddito di cittadinanza: è solo per la salvaguardia di un minimo di speranza nell’evoluzione europea contro tutti i profeti di sventura, quella speranza testimoniata dal giornalista Antonio Megalizzi, morto nell’attentato di Strasburgo. Alla fine hanno prevalso la tenace convinzione europeista di Sergio Mattarella e la rassicurante professionalità di Mario Draghi. Speravo tanto in loro e sono stato sostanzialmente ripagato.

L’accordo raggiunto, indipendentemente dai contenuti, sta a dimostrare che la politica non si fa coi proclami elettoralistici, con le grida populiste o con le minacce sovraniste; la politica è confronto, dialogo e mediazione. Mi auguro non si scateni la corsa alla conquista della corona d’alloro del vincitore: sarebbe una sciocca ed inutile gara sul nulla. Non mi si dica che, se il governo italiano non avesse battuto i pugni sul tavolo, non si sarebbero ottenuti i risultati arrivati alla fine di questa serrata trattativa. Ma quali risultati? Forse che lo sforamento dei parametri è un fatto positivo? È solo la speranza dei malvestiti che faccia un buon inverno. Andiamo quindi avanti senza assurdi trionfalismi, semmai accendiamo un cero a Jean Claude Juncker e c.

Accantoniamo i trionfalismi anche perché non vorrei che finissero con l’irritare i commissari europei e spingerli in prospettiva ad un più rigido atteggiamento nei confronti dell’Italia. Sì, perché gli amici pentaleghisti o legastellati non hanno capito che in gioco non c’è il loro successo agli occhi degli elettori, ma l’avvenire degli italiani. Ricordo al riguardo una barzelletta che circolava all’indomani di una importante affermazione elettorale dell’allora Pci. Enrico Berlinguer sovrastava in aereo il territorio italiano per spiegare ad un gruppo di attenti osservatori cosa fosse successo. Mostrò fabbriche e cantieri pieni di persone intente a lavorare: questi sono i vincitori delle elezioni! Poi il volo dimostrativo arrivò sopra la costa Smeralda, zeppa di persone in vacanza continua: e questi sono i perdenti, disse Berlinguer.

A prescindere dal merito della nuova legge di bilancio, la classe governante del nostro Paese esce molto male a livello di considerazione europea, abbiamo perso dei punti a livello di stima internazionale, nonostante le fuorvianti sirene trumpiane e putiniane. Attenti perché certe illusorie vittorie si dimostrano nel tempo reali e sonore sconfitte. Non vorrei fossimo considerati dei ragazzini pretenziosi, che si mettono a tacere con una caramella: c’è un futuro da preventivare e progettare. Quando esprimevo infantili desideri un po’ capricciosi, mio padre era solito rispondermi in modo elegante e costruttivo: «Ne parliamo domani!». Mi fidavo e ribattevo: «Va bene, domani!». Sì, perché conta il domani. “Diman tristezza e noia recheran l’ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno”.