La lingua batte dove il dente islamico duole

Del terrorismo di matrice islamica ce ne dimentichiamo, tutti presi e distratti dall’inconcludente dibattito politico interno, salvo accorgercene quando capita qualche attentato con tanto di morti e feriti. Come spesso accade, l’autore dell’azione svoltasi a Strasburgo, piena di riferimenti storici (il solito odio contro i francesi), politici (un attacco alla sede del Parlamento europeo), religiosi (sangue sul Natale cristiano), è un soggetto radicalizzato, vale a dire un elemento che ha fatto la scelta della violenza quale testimonianza religiosa e lotta politica. Tornano a galla i soliti nodi concettuali.

Qualcuno giudica fuorviante la distinzione tra Islam moderato e Islam radicale: una schematizzazione meramente strumentale per tentare di devitalizzare la carica esplosiva del dente islamico, un dente che duole assai e sul quale la nostra lingua batterebbe solo per evitare la definitiva e risolutiva estrazione. Effettivamente di fronte al travolgente istinto fanatico dei cosiddetti radicali, si registra qualche (?) incertezza e qualche (?) balbettio, da questo punto di vista fin troppo moderato: qualcuno potrebbe pensare infatti che la moderazione non sia indirizzata tanto verso l’applicazione dottrinale della fede islamica, ma nei giudizi interlocutori e prudenti sul fanatismo dei correligionari estremisti. Credo tuttavia che non ci sia scelta religiosa, culturale, sociale e politica che possa prescindere da un rapporto costruttivo con i musulmani, orientati al dialogo e/o almeno alla coesistenza pacifica (per non chiamarli moderati, se il termine può essere equivoco o sconveniente).

Poi c’è il discorso della caccia al terrorista, che si dimostra sempre piuttosto debole: gli autori degli attentati risultano quasi sempre essere iscritti negli elenchi in possesso delle polizie. A Strasburgo sembra che addirittura l’autore della strage, già incarcerato in passato, dovesse essere arrestato il mattino stesso per reati comuni: sono andati al suo domicilio e non l’hanno trovato. Aveva preso il volo e probabilmente, sentendosi braccato, ha buttato, come si suol dire, l’imam nella merda e ha anticipato l’attentato al mercatino. Ho l’impressione che sia come cercare l’ago nel pagliaio: si riesce a individuare il pagliaio, ma l’ago sfugge. Tutto ciò sta a significare che le ricette facili a livello poliziesco non possono risolvere un problema così complesso e difficile.

Speriamo si tratti di code impazzite di un fenomeno quasi sconfitto nella sua sede geopolitica, ma nutro seri dubbi: la sconfitta sul campo potrebbe rinfocolare desideri mai sopiti di vendetta e di rivalsa. Noi giustamente continuiamo a sostenere che questi fatti traumatici non devono comunque condizionare o frenare il corso democratico del nostro sistema, né tanto meno scombussolare la nostra scala valoriale ed il nostro modo di vivere. Sono e non sono d’accordo: se intendiamo non deflettere dai principi che caratterizzano la nostra società, penso sia giusto e indiscutibile; se invece pensiamo di vivere nella società perfetta, ci illudiamo e sarà bene fare qualche esamino di coscienza prima di chiuderci presuntuosamente nel nostro guscio.

Occorre allontanare la tentazione di cercare scorciatoie nell’intolleranza razzista, nella generalizzata squalifica degli immigrati e dei musulmani (considerati tutti potenziali terroristi e quindi esorcizzati a tappeto, prima, durante e dopo il loro arrivo), nella contrapposizione identitaria a livello religioso (lasceremo costruire moschee in occidente solo il giorno in cui nei paesi musulmani si potranno costruire chiese cristiane), nella bagarre di un anti-terrorismo di stampo meramente poliziesco (schedature: non servono o quanto meno non risolvono; carcere: è il luogo di radicamento ideale; rimpatri: sono una pia illusione). Non si tratta di fare del buonismo, anzi sarà bene cominciare, sul piano culturale e sociale, a fare i conti con le incertezze del moderatismo islamico e gli equivoci di una religiosità musulmana fasulla e strumentale. Tuttavia al dialogo, al confronto, all’integrazione pacifica non esistono alternative. Riprendo la metafora dentale: la nostra lingua batte dove il dente islamico duole, un dente che non può essere estratto, ma da curare, otturare e devitalizzare.