I debiti ambientali giungono a scadenza

Abbiamo trovato il capro espiatorio. Dopo giorni di angoscioso ciarpame post-alluvionale siamo arrivati al dunque: tutta colpa dell’abusivismo. Piove, abusivismo ladro! L’importante infatti, nella nostra epoca “disumanista”, non è partecipare, ma incolpare.  Abbiamo violato a più non posso i divieti posti a salvaguardia del territorio e non sono arrivate ammende, sanzioni penali e civili, è giunta la spietata e imparziale vendetta ambientale.

Abbiamo storicamente ritenuto l’abusivismo un male necessario per uscire dalla miseria post-bellica: dobbiamo ammettere che il nostro boom economico degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso è dovuto all’abusivismo e all’evasione fiscale. Si costruiva dappertutto e si lavorava dappertutto. Le leggi erano un optional: eravamo dei poveri diavoli, che rubavano per mangiare e quindi ci sentivamo innocenti, addirittura bravi. Si chiama contestualizzazione e storicizzazione dell’abusivismo.

Poi l’appetito vien mangiando ed è iniziato l’abusivismo dei furbetti dell’ambientino, quelli della villetta in riva al fiume, dell’albergo in riva al mare, del residence dentro i boschi, etc. Abbiamo consentito autentici sfregi territoriali ed ambientali, talora in buona fede, spesso in odore di corruzione, concussione e mafia.

Poi, quando il rigore ambientalista ha fatto capolino, non ce la siamo sentita di spazzare via l’acqua sporca anche perché rischiava di trascinare il bambino: ecco i condoni, le sanatorie, le indulgenze plenarie a prezzo risibile. Qualcosa nella legislazione è cambiato, ma purtroppo non è mutata la mentalità del cittadino profittatore, quella del governante omertoso o addirittura complice, e abbiamo continuato a sopravvivere da un terremoto all’altro, da un’alluvione all’altra, accontentandoci di un piatto di lenticchie che copriva le annose brutture accumulate nel territorio.

Questo è il triste percorso da cui veniamo, lo sappiamo da tempo e ogni volta facciamo finta di scandalizzarci. Certo, nel frattempo il clima ci è venuto contro e ci ha scaricato addosso i debiti ambientali accumulati nel tempo. Paga chi ci resta sotto, colpevoli, innocenti, responsabili, irresponsabili, giovani ed anziani, ricchi e poveri.  Come la morte, che non guarda in faccia nessuno, ma non per questo la possiamo umanamente considerare giusta, ma solo imparziale.

Per rimediare è molto tardi. Il ministro Matteo Salvini ha fatto due affermazioni che meritano una certa considerazione (tutti i matti hanno le loro virtù): bisogna piantarla con l’ambientalismo da salotto, con la poetica difesa a tutti i costi dell’alberello e del torrentello, bisogna finirla col cretinismo ecologico, che sacrifica tutto sull’altare della protezione chiccosa, emozionale e parolaia della natura. Tuttavia se l’ambientalismo ha necessità di un bagno di pragmatismo, il pragmatismo ha bisogno di un bagno di ambientalismo e non di condonismo. Attenti dunque, perché ciò che può sembrare eccessivo ed esagerato oggi, potrebbe rivelarsi indispensabile e utile domani. A buon intenditor poche parole. Persino la difesa del posto di lavoro oggi può significare disoccupazione, malattia e morte domani o dopo domani.

La seconda intuizione salviniana riguarda la necessità di un progettone per la messa in sicurezza del territorio: sono più che d’accordo. Occorre una barca di soldi, stimabile in 40 miliardi. Credo a naso che siano pochi, ma comunque si potrebbe ragionare. Bisogna trovarli anche perché si tratterebbe di un volano socio-economico notevole per imprese, occupazione, giovani, turismo e chi più ne ha più ne metta. I finanziamenti potrebbero arrivare da tante parti, anche da un’imposta di scopo ben articolata e dosata. Mi dichiaro fin d’ora d’accordo e disponibile e rinuncio fin d’ora alle solite obiezioni: paghi chi ha sbagliato, non facciamo un assist alla mafia, facciamoceli dare dall’Europa, non serviranno a niente perché verranno rubati o sprecati come è già successo. Ci sto a rischiare, ma facciamo qualcosa sul serio e di serio. Subito!