Un governo alla viva il…condono

Mio padre aveva uno spiccata passione per il bel canto, ma ancor più per l’arte interpretativa. Non faceva parte della categoria dei “vociomani”, vale a dire di chi privilegia, la potenza vocale, ma voleva, anzi pretendeva, l’emozione forte, il coinvolgimento nell’opera. Tanto per esser chiari non era un patito dell’acuto per l’acuto, men che meno dell’acuto sparato alla “viva il parroco”; apprezzava certamente l’esuberanza e la sicurezza vocali, che sintetizzava in un modo di dire curioso e plastico, rivolto soprattutto ai soprani, “la va pr’aria”, ma soprattutto si entusiasmava per la frase incisiva, per l’interpretazione trascinante, per gli interpreti “chi fan gnir i zgrizór”, per i cantanti che lasciano un segno forte nel personaggio più che nel ruolo.

Trasferendo questo discorso alla politica e facendo una similitudine si può dire: come per cantare, soprattutto per cantare bene, ci vuole la voce, ma non è sufficiente, perché occorrono anche intonazione, sensibilità, intelligenza, in estrema sintesi capacità interpretativa,  per governare è indispensabile il consenso elettorale e post-elettorale, ma non basta, bisogna anche essere capaci di gestire la cosa pubblica, è necessario possedere una cultura di governo fatta di preparazione, competenza, esperienza. Un cantante lirico deve essere un artista a livello interpretativo così come un governante deve essere un artista della politica.

Una lunga e contorta premessa per arrivare al dunque: l’attuale governo italiano, timidamente e vagamente presieduto da Giuseppe Conte, si basa su un largo consenso elettorale e su un crescente (?) consenso post-elettorale, ha quindi molta voce (anche troppa) da spendere, canta sempre e comunque a squarciagola (il rifugio tipico di chi non sa cantare e spera di coprire le proprie lacune con la voce urlante), ma quando arriva al dunque risulta spompato e stonato.

Di fronte alle obiettive difficoltà di rapporti con la Ue in merito agli indirizzi di politica economica e di bilancio (e non solo), quando cioè occorrerebbe sfoderare mezze-voci, se non addirittura la capacità di cantare in falsetto, quando sarebbe necessario modulare i suoni spostandoli dal petto alla testa, casca l’asino o meglio il canto diventa un raglio d’asino. È successo con il penoso, deviante e fuorviante spostamento di attenzione sulla questione del condono fiscale: i ministri, nella loro qualità di capi-popolo, forse per non parlare di cose serie, si sono messi a litigare, inscenando un duetto/duello in cui hanno preferito urlarsi in faccia acuti stridenti e stentati, dimenticando che in teatro si stava eseguendo un’altra opera. A volte capita di assistere ad una rappresentazione in cui gli interpreti, anche vocalmente bravi, sembrano usciti da un altro spettacolo: ricordo al riguardo una “Forza del destino” in cui il tenore sembrava cantare “Otello”, il baritono era “Rigoletto” e il soprano…lasciamo perdere.

Al commissario agli affari economici, Pierre Moscovici, venuto in Italia per cantare le lamentele europee sulla manovra economica, hanno risposto intonando una rissa da cortile sul condono tributario a suon di penose accuse reciproche, finita, come era prevedibile, in “pandana” o in “pantana” come dir si voglia. Non c’è peggiore situazione di quando si chiede un’importante e delicata informazione a due persone e queste cominciano a fornire risposte diverse, finendo col litigare fra di loro, magari sfogando così tutt’altro contenzioso aperto nella loro convivenza.    All’Unione europea non stiamo solo rispondendo “picche”, ma stiamo tirando fuori un mazzo di carte diverse e giochiamo “bastoni”.