Meglio convivere che condannare

Con insoliti toni da invettiva papa Francesco ha affrontato il tema dell’aborto durante la catechesi del mercoledì dedicata al commento del quinto comandamento “non uccidere”. Ha usato parole dure e provocatorie: «Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema? L’aborto è come affittare un sicario».

Ha però opportunamente e doverosamente inquadrato il discorso dell’aborto in quello più ampio e generale del rispetto della vita: «Tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita. La vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo, dalle speculazioni sul creato, dalla cultura dello scarto, da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno dell’uomo. Questo è disprezzare la vita, è uccidere».

Ha poi ha affrontato, con taglio critico nei confronti della comunità, il delicatissimo tema dell’aborto terapeutico: «Ogni bambino malato è un dono. La violenza e il rifiuto della vita nascono in fondo dalla paura. L’accoglienza dell’altro, infatti, è una sfida all’individualismo. Pensiamo a quando si scopre che una vita nascente è portatrice di disabilità, anche grave. I genitori, in questi casi drammatici, hanno bisogno di vera vicinanza, di vera solidarietà, per affrontare la realtà superando le comprensibili paure. Invece spesso ricevono frettolosi consigli di interrompere la gravidanza».

Mai forse come su questo tema che conta è anche e soprattutto, al di là della sostanza dogmatica, l’approccio caritativo.  Per parafrasare il cardinal Martini, la condanna pura e semplice dell’aborto dovrebbe lasciare posto alla domanda: come può la Chiesa arrivare in aiuto a chi vive situazioni talmente drammatiche da spingere a prendere in considerazione la soluzione dell’aborto? Sul dopo aborto il papa è intervenuto togliendolo dal ghetto della scomunica per favorirne una revisione-conversione alla vita. Ora sarebbe il caso di sollecitare un impegno fortissimo di tutta la comunità cristiana per prevenire e “convivere” positivamente il dramma decisionale sull’accoglienza o meno di una gravidanza e di una conseguente vita umana.

Sull’aborto, in tono cristianamente trasgressivo, diceva don Andrea Gallo: «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

Mi risulta che durante un colloquio tra papa Giovanni Paolo II e monsignor Hilarion Capucci venne presa in considerazione la drammatica situazione di monache stuprate per le quali si sarebbe posta l’eventuale possibilità dell’aborto. Monsignor Cappucci era favorevole ad affrontare con grande flessibilità e realismo questi dolorosi casi. Il papa era drasticamente contrario ad ogni eccezione alla regola antiabortista. Ad un certo punto la tensione salì e il “trasgressivo” porporato chiese provocatoriamente al papa: «Ma Lei Santità crede di essere Dio?». Il papa, probabilmente preso alla sprovvista, non seppe rispondere altro che: «Preghiamo, preghiamo…».

Alcuni anni or sono, quando andavo a fare visita ad una mia carissima cugina, ricoverata all’ospedale maggiore di Parma in stato di coma vegetativo, mi capitava di imbattermi, all’entrata, in un gruppetto di donne che recitavano ostentatamente il rosario in riparazione dei peccati riconducibili all’aborto. Mi davano un senso di tristezza e di pochezza. Per non mancare loro di rispetto frenavo l’impulso di interrogarle provocatoriamente: «Ma voi cosa sareste disposte a fare per una donna sull’orlo dell’aborto? Avreste il coraggio di ospitarla in casa vostra? Avreste la generosità di sostenerla economicamente in modo continuativo? Avreste la forza di aiutarla umanamente ad una scelta così difficile rispettandone la sofferta decisione?». Diceva don Andrea Gallo (lo cito ancora e a senso): «Con una ragazza incinta, sola, magari una giovane prostituta, cerco di portare avanti il discorso del rispetto della vita, faccio tutto il possibile, ma se lei non se la sente, se non riesce ad accettare questa gravidanza, cosa devo fare?».

Provocatori interrogativi che, con tutto il rispetto e l’ammirazione possibili, vorrei porre anche a papa Francesco È comodo pregare per o pontificare contro… È facile mettere a posto la coscienza snocciolando una cinquantina di avemaria o facendo inoppugnabili dichiarazioni di principio e…chi ha il problema si arrangi…Sarò esagerato, prevenuto e persino cattivo, ma negli atteggiamenti magisteriali della Chiesa in questa materia ci vedo qualcosa, che mi ricorda la parabola del buon samaritano e precisamente l’atteggiamento del sacerdote e del levita di fronte al poveraccio massacrato dai briganti: tirano dritto, non si fermano e magari in cuor loro e strada facendo pregano e/o condannano la violenza.