Di Maio o Di Guaio, questo è il dilemma

In un brillante intervento al congresso dell’associazione Luca Coscioni, Piergiorgio Odifreddi, famoso e impertinente matematico, ironizzando sull’abilità di Luigi Di Maio a superare la legge dei numeri (si riferiva a quelli del bilancio statale), si è rammaricato che il vicepremier grillino non avesse tentato di prescindere anche dalla legge di gravità lanciandosi dal balcone di palazzo Chigi durante gli inopportuni festeggiamenti pentastellati dopo il varo della manovra economica.  Forse buttarla elegantemente in ridicolo è la cosa migliore…

Non riesco sinceramente a capire da dove Di Maio tragga l’autorevolezza generosamente concessagli a livello elettorale e mediatico. Non certo dalla ridicola cultura generale che si ritrova e che ha ripetutamente dimostrato, inanellando una gustosa serie di strafalcioni; non certo dalla preparazione ed esperienza politica di cui è totalmente privo; non certo per la simpatia compromessa da una prorompente e fastidiosa presunzione; non certo dall’investitura grillina che non ha mai avuto. Ai tempi in cui ero politicamente impegnato (si fa per dire) un soggetto come Di Maio non avrebbe potuto ricoprire nemmeno la carica di segretario di sezione del suo partito. Eppure giganteggia, tiene banco, pontifica, non tace un attimo, rilascia interviste a ripetizione, minaccia sfracelli a livello italiano ed europeo, si propone come l’uomo nuovo e l’astro emergente della politica.

Quando esaurisce il suo repertorio di baggianate la butta sul vittimismo: «Il sistema mediatico e il sistema europeo ormai hanno deciso che questo governo deve cadere il prima possibile. Ma più fanno così, più ci compattano. Siamo due forze politiche molto diverse che si sono messe insieme con un contratto di governo. Con questi attacchi ci compattano. Noi difendiamo gli interessi dell’Italia e dei cittadini». Oltre tutto finge di non vedere che il consenso verso il suo movimento sta seppur lentamente scemando (sempre troppo e ingiustificato per i miei gusti), mentre quello dei suoi partner governativi, la Lega, sta crescendo a tutta canna.

«Non ci sarà alcun rimpasto nel governo Lega-Cinquestelle» dichiara Di Maio, smentendo così le voci di un possibile rimaneggiamento della compagine. Poi ribadisce che la bocciatura Ue alla manovra non lo spaventa: «Tra 6 mesi questa Europa sarà finita. Non c’è nessun piano B, l’appartenenza all’Unione non è in discussione, come non lo è l’uscita dall’euro». In effetti sul rimpasto non scommetterei nemmeno un centesimo: questo governo è un castello di carte e, se ne tolgono una, crolla tutto. Sulla prospettiva di fine della Ue con le prossime elezioni europee andrei piuttosto cauto: potrebbe finire prima Di Maio. Sono d’accordo sul fatto che non siano in discussione, da parte italiana, l’appartenenza alla Ue o l’uscita dalla moneta unica (non siamo in grado di effettuare valutazioni tanto impegnative…): il problema è che, se andiamo avanti così, rischiamo di essere sbattuti fuori.

Ho sentito dire che qualche osservatore o commentatore politico ha ribattezzato il loquace vicepremier pentastellato: non più Di Maio, ma Di Guaio. Mi sembra azzeccato! Di guai questo signore, i suoi colleghi e i suoi partner ce ne stanno procurando parecchi. Forse, nel delirio di onnipotenza che li caratterizza, non se ne rendono nemmeno conto. Il destino italiano nelle mani di Salvini e Di Maio. Fino a quando? Quando meno ce lo aspetteremo scoppierà un casino pazzesco: le chiacchiere non reggeranno, i debiti andranno onorati, saremo sepolti ancora una volta sotto le risate dei maggiorenti europei, ci sveglieremo tutti più poveri e andremo sotto le finestre di palazzo Chigi (io me ne starò rigorosamente in casa mia a piangere sul latte versato dagli altri). Gli umori della folla fanno presto a cambiare e quindi si alzerà un coro: a casa Di Guaio! E Beppe Grillo chissà dove sarà.