La novità del “condonismo” di sempre

Non vorrei essere brutale, ma il linguaggio serve innanzitutto e soprattutto a capirsi, a comprendere le reciproche volontà e intenzioni. Le raffinatezze linguistiche le lascio quasi sempre agli specialisti della materia, da cui peraltro ho molto da imparare. Ecco perché non mi coinvolge più di tanto la discussione su come debba definirsi il ventilato provvedimento di carattere fiscale volto a cancellare le pendenze dei contribuenti nel delicato rapporto tra erario e cittadini. Come si deve chiamare? Condono? Concordato? Pace fiscale? Definizione agevolata del contenzioso? Colpo di spugna? I termini possono essere tanti, ma la sostanza è una e una sola.

Dalla parte dell’Erario lo scopo è quello di fare cassa: punto e stop. Tutto il resto sono menate demagogiche e/o disquisizioni formali. Perché, infatti, quando si cambia la normativa fiscale, sarebbe utile azzerare le situazioni precedenti? Perché dovrebbe essere un atto di chiarezza e di miglioramento nei rapporti tra Stato e contribuenti? Perché potrebbe essere un incentivo a rendere più agibile un sistema tributario farraginoso? Perché si rivelerebbe uno strumento utile nella lotta all’evasione? Non capisco!

Se lo Stato si fa guidare dal detto veneziano “pocheti ma tocheti”, il cittadino-contribuente risponde ripulendosi la coscienza sporca a basso costo; tutti felici e contenti? Direi proprio di no! Soddisfatti gli evasori che si rifanno una verginità e continueranno ad evadere in attesa del prossimo provvedimento dello stesso tipo. Soddisfatti quanti sono orientati a “non dare a Cesare quel che è di Cesare”, accampando tutte le scuse di questo mondo: pagare le tasse non serve a nulla, meglio investire quei soldi, meglio darli in beneficenza, etc. etc. Soddisfatti i governanti di piccolo cabotaggio, che si illudono di quadrare i conti mangiando il piccolo vitello del condono nella grande pancia della vacca dell’evasione.

Girala di qua, prillala di là, guardala di sopra, sbirciala di sotto, la questione “condonistica” è questa. Una palese e grave ingiustizia per l’intera società, una presa per i fondelli per i pochi o i tanti cittadini virtuosi, la vittoria di Pirro per la casse dello Stato. Non è prerogativa di questo governo varare provvedimenti simili: altri si sono cimentati in questa triste gara con risultati insoddisfacenti da tutti i punti di vista. Un’altra prova, se ce n’era bisogno, che il governo del cambiamento è penosamente ancorato al peggior modo di governare del passato. I giallo-verdi si stanno arrampicando sugli specchi, impresa ardua a cui aggiungono un tocco di ulteriore problematicità: farlo con le mani sporche di grasso. Con quei quattro soldi spillati dalle tasche degli evasori si illudono di andare in soccorso di nullatenenti, pensionati in pectore e imprese in difficoltà.

Roba da far arrossire Robin Hood e da far divertire i furbacchioni. Non appena si parla di amnistia o condono per i reati penali (provvedimenti svuotacarceri) tutti insorgono e si strappano le vesti: non vi sarebbe certezza della pena, i fuorusciti riprenderebbero immediatamente a delinquere, si darebbe un pessimo segnale nella lotta alla delinquenza. Non si può e non si deve fare! Il discorso fiscale è un’altra cosa e se ne può parlare. Chi ruba le mele al supermercato merita di marcire in carcere, chi ruba milioni allo Stato merita di essere perdonato e restituito all’onore del mondo. So benissimo che esiste l’evasione tributaria di pura sussistenza, di confusione tributaria, di accanimento fiscale. Ma c’è anche la micro-delinquenza in genere. Due pesi e due misure: è la specialità all’italiana. Ci pensi Giuseppe Conte, che si è definito l’avvocato difensore del popolo italiano. Ho fatto un po’ di demagogia, ma forse è l’unico modo plausibile per far scoppiare le contraddizioni di una stagione politica che vuol far credere che “Cristo è morto di freddo ai piedi”.