Una ciambella cattolica nel mare razzista

La penosa situazione della nave Diciotti l’ha sbloccata la Cei, vale a dire la gerarchia cattolica competente per territorio. Sono purtroppo sicuro che i vescovi italiani non interpretino l’opinione prevalente dei cattolici, in maggioranza imprigionati nell’accattivante palude leghista. Un vero peccato: una volta tanto che la gerarchia spinge decisamente e concretamente in avanti, a frenare ci pensano i cattolici di base. Lo Spirito Santo ha certamente del “lavoro in bottega”.

Se da una parte si sostiene giustamente che lo Stato italiano non è la Caritas e che quindi non deve necessariamente farsi carico di accogliere evangelicamente tutto e tutti a prescindere dalle condizioni politico-sociali, dall’altra bisogna ammettere che non è mestiere di Chiesa quello di sostituirsi allo Stato inadempiente o recalcitrante di fronte agli immigrati richiedenti asilo e aiuto. Stiamo assistendo ad una sorta di inversione di ruoli che fa riflettere.

Ho tirato un bel respiro di sollievo quando i vescovi (con la regia papale) hanno aperto i loro cancelli a decine di persone in cerca di rifugio: finalmente un gesto significativo, che previene la critica verso la facilità a predicare e la difficoltà a razzolare. Questa volta la Chiesa ha predicato bene e razzolato ancor meglio. Il papa è riuscito persino a farsi dare un ringraziamento in natura dall’Irlanda, la quale si è resa disponibile ad accogliere un certo numero di immigrati provenienti dalla Diciotti, in balia di Salvini dopo esserlo stati delle onde (non so cosa sia meglio). Un autentico capolavoro di Bergoglio: si è presentato in Irlanda con un enorme fardello di colpe (pedofilia), ha lavato i panni sporchi davanti ai cristiani irlandesi, ha chiesto perdono a tutti, ha voltato pagina, si è reso credibile al punto che l’Irlanda gli ha risposto “cuori” con un’iniziativa di buona volontà verso gli immigrati, ha impartito una lezione di stile evangelico insistendo sul concetto di accoglienza strettamente legato all’integrazione (dovrebbe essere la perfetta combinazione concettuale e pragmatica della soluzione al problema dell’immigrazione).

La Democrazia Cristiana ha il merito storico di avere corretto, in senso decisamente laico e lentamente progressista, ed in chiave democratica, la tendenza conservatrice e reazionaria del cattolicesimo italiano, pretestuosamente motivata dalla diga anti-comunista. Il cattolicesimo italiano è vedovo della DC, se ne è affrettatamente sbarazzato sull’onda di tangentopoli ed è tuttora alla ricerca di punti di riferimento politici seri. Tocca paradossalmente alla gerarchia contenere le spinte retrograde e indicare vie d’uscita politica alla crisi ideale e valoriale imperante. Sarà facile applaudire la Cei per l’accoglienza agli immigrati, ben più arduo sarà esprimere opinioni e voti che allontanino il Paese dalla deriva in cui si è ficcato, sballottato tra i cavalloni leghisti e le sabbie mobili grilline.

Non è detto poi che la gerarchia cattolica sia in grado di mantenere la barra dritta e di prestare una bussola affidabile ai cristiani sul fronte politico. Un autorevole esponente parmense del cosiddetto cattolicesimo democratico, allorché arrivò a Parma il vescovo Benito Cocchi, con tanto di biglietto da visita dell’impegno mattutino ad accudire anziani, mi sconvolse facendomi presente come la storia della Chiesa sia piena di personaggi caritatevolmente ineccepibili ed evangelicamente fulgidi, politicamente conservatori o addirittura reazionari. Non fu il caso del vescovo Cocchi, messo in crisi da ben altre contraddizioni diocesane. Non sono in grado di valutare se la suddetta analisi storica sia attendibile, ma una cosa è certa: religione e politica non sono la stessa cosa e coniugarle non è facile. Tacere non va bene, intromettersi neppure, forse questa volta la Cei l’ha imbroccata talmente bene che temo possa essere impallinata dal fuoco amico.