I cani da guardia che abbaiano ai mercati

Penso sia difficile e inutile cercare di capire se l’aumento dello spread e il cattivo andamento della borsa italiana siano dovuti alle incertezze colte dai mercati ed emergenti dal nuovo governo, effettivamente confusionario e sconclusionato fin dall’inizio del suo mandato. Così come ancor più assurdo appare il tentativo di mettere le mani avanti in senso complottista per coprire le insufficienze governative: ci sarebbe in atto una manovra ferragostana di attacco mercatale contro gli equilibri politici italiani sgraditi ai soliti poteri forti italiani, europei e mondiali. Non credo nemmeno che il trambusto finanziario possa essere semplicisticamente ricondotto alla crisi valutaria turca indotta dalla scriteriata politica protezionistica americana. Probabilmente di tutto un po’.

Comprendere le borse, laddove la speculazione è padrona di casa, criticarle, esorcizzarle, attaccarle, è un esercizio penoso e paradossale. Le borse sono un male necessario del sistema capitalistico, che, come sostiene l’insigne economista Giorgio Ruffolo, ha i secoli contati. Non sarà certo la velleitaria ignoranza di Luigi Di Maio o l’arrogante incoerenza di Matteo Salvini a scalfire i meccanismi sistemici e problematici della finanza mondiale. Da quanto sta avvenendo arriva proprio una lezione per i pappagalli nostrani, che intenderebbero, populisticamente e “sovranisticamente”, rinchiudere il nostro Paese in un nostalgico, isolazionistico ed illusorio fortino all’insegna dello slogan “in casa mia comando io”.

Sì, comandare in casa propria è un diritto indiscutibile, il problema sta in tutti gli inamovibili condizionamenti esterni: se non sopporto le regole condominiali, posso andare ad abitare in una villetta di periferia, ma le regole esisteranno anche lì, ci sarà qualcuno che mi chiede conto, che controlla, che viene a suonare il mio campanello e non si farà certo impressionare dai cani da guardia, leghisti o “grillisti” che siano. Il putiferio scatenato dalla crisi valutaria turca è la più eloquente dimostrazione che siamo tutti interdipendenti e purtroppo, se Trump ha il mal di testa, noi italiani possiamo avere un grosso raffreddore o addirittura una sinusite bella e buona. Mettiamo quindi da parte la velleitaria pretesa euroscettica, l’improvvisata primazia politica sui meccanismi finanziari, la sbraitante volontà di cambiare il mondo in peggio.

Se basta la lira turca a scatenare un pandemonio, cerchiamo di capire che forse sarà bene rientrare in noi stessi, abbandonando le smanie separatiste e indipendentiste, recuperando la pazienza della politica.  Non serve che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dichiari di temere un attacco dei fondi speculativi all’Italia a fine agosto e preveda tempeste finanziarie in arrivo sui nostri cieli: è un esercizio scolasticamente e politicamente vuoto e controproducente. Così come non serve che, il giorno stesso o il giorno dopo, il vice-presidente del Consiglio Luigi Di Maio faccia la seguente affermazione, in una delirante imitazione del presidente turco Erdogan: «Se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo, sappia che non siamo ricattabili». Torniamo in Europa, facciamo bene i conti e magari anche i compiti a casa, discutiamo seriamente, chiediamo aiuto a chi di dovere, riportiamo la politica dagli accoglienti bar di periferia agli odiati palazzi, recuperiamo serietà e credibilità, smettiamola di abbaiare alla luna e facciamo un po’ di cura del sole. Senza rischiare di scottarci, usando le creme ad alto fattore protettivo.