L’immacolata concezione del ministro Di Maio

Nella mia attività professionale ho assistito, partecipando a volte direttamente o indirettamente, a passaggi di committenza tra avvocati, commercialisti, consulenti, financo amministratori di condominio, generalmente caratterizzati da due elementi, uno quasi normale, l’altro assai scorretto.  Innanzitutto la concorrenza sul prezzo: ho detto “quasi” normale,  perché quando, pur di conquistare il cliente, si applicano prezzi stracciati, camuffati o che durano per poco tempo, la competizione è truccata in partenza e oltre che danneggiare il competitor finisce col creare problemi in prospettiva anche e soprattutto al committente. Se e quando l’utente si accorgerà che al prezzo basso ha corrisposto un servizio di bassa qualità, sarà tardi e i danni potranno essere irreparabili, mentre il precedente titolare del servizio non recupererà più il cliente perduto.

Ma vi è un secondo elemento che pesa nel passaggio: il subentrante inizia il rapporto mettendo in discussione l’operato del predecessore, con critiche al limite della correttezza, rilevando presunte irregolarità, creando falsi allarmismi, bollando negativamente il lavoro di chi lo ha preceduto. È una sorta di squalifica iniziale per creare più facili e comodi presupposti alla propria azione. Quante volte mi sono chiesto: ma possibile che chi ha lavorato fino ad oggi non ne abbia azzeccato nemmeno una, le abbia sbagliate quasi tutte, abbia combinato una sequela di guai così drammatici ed evidenti? Si tende cioè a partire in discesa, a iniziare sul velluto, a mettere le mani avanti con un passaggio di consegne truccato e fatto di illazioni più che di dati oggettivi.

Questa lunga premessa per dire che non mi stupisco come anche in politica viga questo “antigalateo”, sempre più accentuato e scontato, che, tuttavia, sembra sempre dare i suoi frutti: per cominciare infatti si butta fango su chi è venuto prima, poi si vedrà. Si tratta spesso della spennatura della gallina consigliata da san Filippo Neri per dimostrare che le penne della maldicenza disseminate non si recuperano più. Un tempo si diceva: non ha importanza se parlano male di me, l’importante è che ne parlino. Oggi il discorso si è capovolto.

La manciata di fango lanciata contro l’ex ministro Calenda in merito alla pasticciata gara indetta per l’Ilva è un esempio di quanto sopra. A detta dell’attuale ministro Di Maio, sarebbe stato leso il principio della concorrenza, favorendo un’offerta, privilegiando il criterio del prezzo rispetto a quello del piano ambientale. «Avvierò un’indagine interna al ministero per capire di chi sono le responsabilità» ha detto infatti alla Camera. Mi sento di formulare una domanda a Luigi Di Maio: non poteva aspettare un attimo prima di tirare questa manciata di fango? Non poteva attendere l’esito di questa per ora fantomatica indagine? Questi colpi bassi non dovrebbero essere ammessi in campagna elettorale, figuriamoci a questo livello, per un ministro che attacca il suo predecessore, così, tanto per cominciare, poi si vedrà.

Se la questione avrà un seguito, ne dubito perché al momento si intravedono solo elementi di valutazione politica e non di correttezza amministrativa, Di Maio, con le arie che tirano, ne uscirà comunque bene. In caso di effettive irregolarità farà la figura del moralizzatore doc; in caso di inconsistenza delle accuse sarà pur sempre considerato un implacabile nemico della cattiva amministrazione. E il povero Calenda ne uscirà comunque con le ossa rotte. Così va la competizione politica. In questa tentazione sia ben chiaro cadono tutti, a destra, a sinistra, al centro. Non ne voglio fare un’occasione di attacco al pressapochismo moralizzatore dei grillini. Resta comunque il fatto che “onestà, onestà!” sta diventando un veleno, che intossica più che risanare la politica. Se tutti cominciassero a guardarsi in casa ed a capire che per governare non basta l’immacolata concezione delle candidature sul web o il sorteggio nell’albo degli onesti…