La briscola d’azzardo

Il gioco d’azzardo rappresenta una delle tante ipocrisie di Stato, infatti l’Italia ha un rapporto controverso con il gioco d’azzardo. Da un lato finanzia campagne contro la ludopatia, dall’altro guadagna dalla diffusione di giochi e scommesse. Nell’ultimo decennio l’Italia ha raggiunto il livello di tassazione sul gioco d’azzardo più alto rispetto ai principali paesi europei: abbiamo superato i 10 miliardi annui. Ciò non basta a dissuadere i fanatici che cadono purtroppo nel vortice di questa autentica patologia.

Nel cosiddetto decreto “Dignità”, che sta per essere varato dal governo Conte, è inserita una norma che vieta la pubblicità al gioco d’azzardo. Chi può essere contrario? Su di me confesso che il gioco d’azzardo, nelle forme più semplici ed immediate, ha sempre esercitato un certo fascino, anche se la mia vena trasgressiva si è fermata sulla soglia, portandomi solo, tutto sommato, a simpatizzare per quelle persone che osservo accanitamente alle prese con grattini e macchinette varie. Come al solito mi trovo perfettamente in linea con gli insegnamenti paterni.

Mio padre infatti aveva un approccio piuttosto originale e scettico verso il gioco d’azzardo. Lo aborriva al punto da ingaggiare una vera e propria lotta contro di esso allorquando si accorse che un suo carissimo nipote era caduto in questo devastante deriva. Lo raggiunse in piena bisca clandestina, lo trascinò via, lo rimproverò mettendo in campo tutto il proprio carisma parentale e la propria autorevolezza etica, riuscì nel miracolo ben spalleggiato da mia madre: a questo simpatico, buono e carissimo nipote avevano fatto da tutori. Lo scetticismo però non mancava mai e quindi, quando sentiva demonizzare il gioco del poker, diceva: «As pól zugär a sòld anca con la bríscola…basta mettrogh su dezmila franch a sign…». Quanto poi alle disastrose conseguenze sul portafoglio dei giocatori era solito riflettere a bassa voce: «A zugär i van in arvén’na… e va bén… mo agh sarà pur anca coll ch’a vénsa…».

Il discorso, gira e rigira, è riconducibile al dubbio amletico fra permissivismo e proibizionismo: vale per alcol, fumo, droga, prostituzione e…gioco d’azzardo. Sono un permissivista di natura: propenso a ritenere che i divieti, diretti o indiretti, finiscano con l’incentivare i soggetti deboli alla trasgressione, rendendola ancor più attraente ed affascinante. Le tentazioni si vincono non coi divieti ma col riferimento a valori forti. Quando sento i genitori invocare la chiusura anticipata delle discoteche o il divieto della vendita di alcolici, mi pare un modo per scaricare la responsabilità dalle coscienze alle leggi ed alle regole. Sulle droghe il discorso si fa ancor più delicato, anche se la legalizzazione delle droghe leggere non mi scandalizza. Scegliere il male minore non è certamente il modo ideale per risolvere i problemi, ma a mali estremi…parziali rimedi.

Non sarà quindi il divieto pubblicitario a disintossicare i soggetti ludopatici o ad impedire che qualcuno si lasci trascinare in questo gorgo da cui viene difficile risalire. Non voglio essere prevenuto e fazioso, ma mi sorge spontanea una riflessione etico-politica (anche se la mia carissima amica del cuore mi raccomanda simpaticamente di riflettere un po’ meno…): tanta preoccupazione per i ludopatici nostrani e…tanta ostilità per i disperati d’importazione. I primi, tutto sommato, i guai se li vanno a cercare, i secondi non hanno altra scelta. Mio padre (e dalli…) rilevava acutamente come di fronte alla caduta di un cavallo gli astanti esclamino “povra béstia”, mentre di fronte alla caduta di una persona si sbellichino dalle risa. Così come siamo pronti a coprire di premure il cagnolino o il gattino di turno, arrivando a raccattarne persino le deiezioni, mentre siamo propensi a ficcare gli anziani nelle case di riposo ed a rimanere sostanzialmente indifferenti al dramma dei bambini immigrati. Così va il mondo!