La fretta dell’antipolitica e la pazienza della politica

È innegabile che Matteo Renzi abbia tentato, con molto impegno e troppa foga, di modernizzare la sinistra italiana sottraendola da ogni e qualsiasi nostalgia ideologica. Purtroppo però gli italiani, e non solo loro, sono alla disperata ricerca delle ideologie perdute e, tra l’altro, in questa affannosa rincorsa al passato prendono lucciole per lanterne, confondono la sinistra con la destra, il popolarismo col populismo, il pauperismo con l’egoismo, il socialismo col sovranismo, il rigorismo con il qualunquismo, etc.

Non so fino a qual punto Renzi non sia stato capito o non sia stato capace di spiegarsi con i fatti (forse pochi) e con le parole (forse troppe). Può darsi sia finito il renzismo, ma certamente non è finita la necessità di adeguare la sinistra ai tempi attuali, possibilmente senza scopiazzare la destra. Ricordo come la sinistra a Parma, dopo il clamoroso errore di insistere sulla candidatura Lavagetto, che spianò la strada al lungo periodo ubaldiano, tentasse di trovare una candidatura credibile e più di una volta cercò di pescare nella cosiddetta società civile, ma puntando su soggetti che di sinistra avevano sì e no una mano. Allora mi dicevo: se la sinistra per vincere le elezioni deve trasformarsi in destra è meglio che le perda. Il discorso vale anche oggi: attenti alla trappola del macronismo. Se per battere il lepenismo bisogna pagare i prezzi che sta pagando Macron…Sul fronte opposto c’è sempre pronta la trappola del sinistrismo ideologico. In mezzo a questi due fuochi ci sta il PD.

Nel partito democratico Renzi ha una voglia matta di rivincita e i suoi oppositori (non ho ancora ben capito chi siano e cosa vogliano) muoiono dalla voglia di riperdere. Se il partito non esce da questo dibattito autolesionistico, va a finire male. Tutti gli osservatori ed i commentatori esterni hanno la loro ricetta: non esiste una terapia ad effetto immediato ed è perfettamente inutile sollecitare una cura ricostituente la fiducia dei cittadini elettori. Sono portato a schematizzare la situazione politica nei seguenti termini. Da una parte c’è la fretta dell’antipolitica, vale a dire la spinta forsennata al cambiamento per il cambiamento, la irrazionale tendenza ad andare contro chiunque osi sconvolgere il nostro quieto vivere: a ben pensarci si tratta di una collettiva gattopardesca sbornia volta a cambiare tutto affinché non cambi nulla. Dall’altra parte troviamo la pazienza della politica, vale a dire la fiducia nel gioco democratico, nel ruolo delle istituzioni italiane ed europee, nella gradualità del riformismo socio-economico: a ben pensarci si tratta della scommessa churchilliana sulla democrazia quale peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme sperimentate e “sperimentande”.

Il partito democratico deve essere l’interprete paziente della politica, la più alta, ma anche la più concreta possibile. Giorgio La Pira era un idealista incallito, ma quando fece il sindaco di Firenze non si fece scrupolo di telefonare ad Enrico Mattei, presidente dell’Eni, perché salvasse la Pignone e il posto di lavoro di chi rischiava un drammatico licenziamento. Oggi i grillini si scandalizzerebbero e i leghisti direbbero che le aziende decotte vanno lasciate al loro destino.

La pazienza non ammette fretta, perché è cattiva consigliera, e sta spingendo Renzi a rimontare lo svantaggio buttando la squadra in uno scriteriato attacco contro il destino cinico e baro, mentre spinge i suoi oppositori interni ad arroccarsi in difesa spedendo la palla nella tribuna dell’ideologismo datato e dell’utopismo fragile. Il clima da perpetua resa dei conti non porta da nessuna parte e disamora ulteriormente i pochi o i tanti, che vorrebbero ancora ragionare di politica e non sbraitare al bar.

Renzi esorcizza il ritorno del burocratismo ideologico di comunistica memoria; gli altri temono lo snaturamento valoriale di una nostalgica riedizione democristiana. Fino a qualche tempo fa ritenevo che la diaspora esistente all’interno del PD non fosse di carattere ideologico nel senso della contrapposizione fra cattolici e comunisti. Ne sono ancora convinto anche se sta venendo avanti un contrasto forse ancor peggiore fra modernismo e ideologismo. Per chiudere il discorso con un esempio posso dire così: alla gente che ha paura degli immigrati non posso proporre di chiudere pedissequamente i porti e le frontiere, ma nemmeno di aprire le porte a tutti indistintamente. In mezzo ci sta la pazienza del gestire il fenomeno immigrazione: era la strada che stava tentando il ministro Marco Minniti. Non è un caso se i nuovi improvvisati governanti fanno fatica ad opporsi a quanto portato avanti da Minniti: è quella la strada valida sui diversi problemi. Mi pare di sentire i grilloparlanti sinistrorsi di maniera: ma quelle sono politiche di destra! No, quelle sono politiche e non chiacchiere da salotto o urla da bar. E Renzi si sforzi di elaborare con calma una strategia di questo tipo, tanto meglio se la fa gestire da altri, non per interposta persona, ma per riconoscibili capacità politiche e governative.