Tenere la sinistra senza cadere nel fosso del passato

Da quattro mesi si contrappone la vittoria elettorale del fronte grillo-leghista alla sconfitta della sinistra ed in particolare del Partito Democratico. Questa sconfitta si fa risalire, così si esprimono quasi tutti i commentatori e gli opinionisti, alla crisi di consensi per la quale sarebbe colpevole l’attuale classe dirigente piddina ed in particolare quella impersonificata  da Matteo Renzi. Non escludo certamente gli errori commessi nella gestione del partito e nella conduzione del governo e non sottovaluto nemmeno la mancanza di spirito autocritico, che avrebbe potuto parare qualche colpo significativo. Tuttavia mi sembra che una delle ragioni di fondo dell’insuccesso, con tanto di fuga elettorale verso M5S e Lega, venga da lontano, vale a dire da un difetto antico della sinistra italiana.

Per fare un’analisi storica, seppure spannometrica, bisogna riferirsi al Partito Comunista Italiano, alle sue contraddizioni, alla sua impostazione politica, conflittuale ed antagonistica. Tutte le battaglie di sinistra, sulla stucchevole scia dell’antifascismo di maniera, erano improntate alla contrapposizione frontale con le idee portanti della società così come veniva delineandosi nel dopoguerra. Prima di arrivare a sentirsi protetti sotto l’ombrello della Nato, si fece una lunga e talora violenta opposizione alla scelta di campo occidentale: l’anti Nato. Poi nella prospettiva di integrazione europea si vide un tranello capitalistico, ideato per superare subdolamente i limiti del sistema. Non furono brevi la contrarietà, lo scetticismo, il neutralismo rispetto all’idea di Europa Unita: l’anti Europa.  La manicheistica contrapposizione tra spinta rivoluzionaria e scelta riformista durò a lungo, creando i presupposti per divisioni, fratture, incomprensioni nella stessa area della sinistra e nei rapporti con gli altri partiti democratici: l’anti capitalismo.

Era una politica anti tutto, che faticò assai a trasformarsi in opposizione costruttiva e non aprioristica, in alternativa politica e non sistemica. Ebbene allorché la globalizzazione a livello internazionale, le ristrettezze economiche e le emergenze sociali hanno stuzzicato l’appetito di un certo modo di essere in termini di protesta e di lotta, la sinistra riformista e gradualista è andata in crisi non tanto di contenuti, ma di consenso popolare. Sono rispuntati i fantasmi del passato riveduti e (s)corretti in euroscetticismo, in sovranismo, in populismo, in protezionismo economico e sociale. Una parte considerevole di elettorato ha sentito il richiamo della piazza (la massa e la lotta sono tornati di moda), l’anti tutto si è trasformato in anti politica: questa crisi è stata agevolata ulteriormente dalle cariatidi nostalgiche e post-comuniste, capaci soltanto di creare confusione ideologica e incertezza politica.  Lo stesso sbrigativo varo del Partito Democratico ha bypassato e lasciato irrisolta tutta una serie di passaggi ideologici e culturali, che a distanza di qualche tempo fanno sentire i loro effetti negativi.

Se è vero, come è vero, che la sinistra deve metabolizzare impietosamente la sconfitta elettorale, è altrettanto vero che non può limitarsi a brillare tout court l’attuale classe dirigente alla ricerca del nuovo, che magari ripercorra gli equivoci e gli errori del passato. La tentazione di ripiegare su una sinistra radicaleggiante è forte e perpetuerebbe l’accreditamento di un’idea legata più agli “anti” che ai “pro”. In questo contesto appare piuttosto insulsa e inconsistente la polemica sui rapporti col M5S: tutto sommato trovare un’intesa coi grillini avrebbe significato e significherebbe ripiegare consolatoriamente su una sinistra della guerra a tutto, che non è sinistra in senso politico ma è sinistra nel senso di infausta, avversa, bieca e lugubre.