Nei bar salviniani si beve il cervello

In luglio del 2002 il ministro degli Interni Claudio Scajola si dimise per avere definito “un rompicoglioni, che voleva il rinnovo del contratto di consulenza” il giuslavorista Marco Biagi, assassinato a Bologna il 19 marzo di quell’anno da brigatisti rossi in un agguato terroristico. C’erano già state abbondanti polemiche sulla mancata concessione della scorta, che lo stesso Biagi aveva chiesto con insistenza alle autorità fino a pochi giorni prime di essere assassinato, e quindi le dichiarazioni di Scajola alimentarono il sospetto che la mancata protezione da parte del ministero fosse il frutto, oltre che di lungaggini burocratiche, anche di una scelta deliberata. Il ministro Scajola fu costretto alle dimissioni anche per l’insistenza del suo collega di governo, il leghista Roberto Maroni, allora al ministero del welfare, con cui Biagi aveva collaborato e che aveva chiesto a Scajola di concedere la scorta al professore impegnato nella delicata materia dei diritti dei lavoratori, e per le critiche insorte anche all’interno della maggioranza di centro-destra.

L’attuale ministro degli Interni, in una delle sue quotidiane e demagogiche sparate, intervistato ad Agorà su Rai3, ha dichiarato in merito alla scorta al giornalista e scrittore Roberto Saviano, da tempo impegnato in una battaglia culturale contro le mafie: «Saranno le istituzioni competenti a valutare se corra qualche rischio, anche perché mi pare che passi molto tempo all’estero. Valuteranno come si spendono i soldi degli italiani. Gli mando un bacione». Non esiterei a giudicare tali dichiarazioni agghiaccianti per diversi motivi.

Innanzitutto Salvini lascia intendere, usando maldestramente e inopportunamente l’ironia di cui non è capace, che esista da parte sua un pregiudizio negativo nei confronti di Saviano e della sua attività e quindi anche sulla concessione della scorta in difesa della incolumità dello scrittore. In secondo luogo appare per lo meno singolare che questioni di una tale delicatezza e riservatezza vengano snocciolate davanti alle telecamere, solo ed esclusivamente per catturare audience. In terzo luogo sulla scorta a Saviano sembra influire in modo decisivo lo scontro culturale e politico da tempo in atto fra Salvini e Saviano stesso: la diversità di opinioni politiche non può incidere su decisioni riguardanti l’incolumità delle persone. In quarto luogo il ministro dimostra di sottovalutare colpevolmente come la lotta alla mafia non sia solo questione poliziesca, ma prima di tutto una scelta culturale su cui si devono impegnare gli intellettuali.

Tutti questi motivi sono ben sintetizzati e rincarati nelle ulteriori precisazioni fatte dal ministro dopo che si erano scatenate diverse reazioni rispetto alla sua presa di posizione: «Saviano? Figuratevi se mi interessa quello che fa Saviano, non sono io a decidere sulle scorte, ci sono organismi preposti. Continui a pontificare, lui è l’ultimo dei miei problemi. Io voglio combattere la mafia e la camorra davvero». I casi sono due: o il ministro si sta bevendo il cervello o sta facendo calcoli politici eversivi volti a influenzare e deviare le coscienze ben prima e più dei voti.

Si dovrebbe in entrambi i casi dimettere, seguendo l’esempio di Claudio Scajola richiamato sopra, ma soprattutto riflettendo sull’atteggiamento istituzionalmente corretto del suo collega di partito Roberto Maroni: non è un caso che gli abbia consigliato preventivamente di sciogliere “il conflitto d’interessi” tra l’incarico ministeriale e la segreteria della Lega. Il governo, pur richiamandosi ad un programma politico, non è affare di un partito, ma riguarda la vita di tutto il Paese. Non è ammissibile che il ministro degli Interni faccia spudoratamente una continua campagna elettorale strumentalizzando brutalmente problemi e questioni di enorme rilevanza. Penso che nella psicologia di questo personaggio, peraltro abbastanza simpatico, siano scattati meccanismi al limite della patologia. Sì, probabilmente, al di là delle idee politiche e dei calcoli elettorali, sta rischiando un delirio di onnipotenza in cui il suo cervello perde progressivamente lucidità. E gli italiani? Dimostrano di apprezzare e di volere lasciarlo lavorare. Anche il loro cervello è a rischio…