Il viminalega

La Costituzione italiana al secondo comma dell’articolo 95 recita testualmente: “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”. Non mi risulta che la legge preveda la sede dei ministeri con portafoglio presso la sede del partito di provenienza del ministro. È quanto sta regolarmente avvenendo per il ministro Matteo Salvini, il quale svolge le sue funzioni ministeriali mescolandole con comizi elettorali e facendo dichiarazioni come ministro dell’Interno con tanto di manifesti leghisti alle sue spalle.

Se qualcuno non l’avesse ancora capito l’indirizzo politico del governo lo da questo signore, che, tra l’altro, intende rimanere segretario della Lega, creando una pericolosa zeppa tra la gestione dell’ordine pubblico, questione di una delicatezza estrema, e la gestione di un partito, questione del tutto diversa. Elegantemente il suo predecessore Roberto Maroni, altro leghista presente quale ministro degli Interni nei governi Berlusconi, glielo ha fatto osservare prima ancora del tempo, ma lui ha fatto orecchie da mercante, sminuendo il conflitto a livello di compatibilità tra gli impegni personali.

Ritengo decisamente inaccettabile che chi garantisce sicurezza e ordine lo faccia sbandierando la propria connotazione partitica: non è questione di forma, ma di sostanza. In Italia ci sono molti leghisti, troppi per i miei gusti, ma non tutti lo sono e Salvini non può dimenticarlo. Ha il diritto di esprimere una linea di governo relativamente al suo ministero e compatibilmente con l’indirizzo politico ed amministrativo garantito dal Presidente del Consiglio, ma ha anche il dovere di amministrare correttamente e seriamente la sua macchina ministeriale nell’interesse del popolo italiano. Ha giurato pronunciando la seguente formula: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Il ministro Matteo Salvini sta dimostrando di non essere affatto fedele alla storia della nostra Repubblica, non in quanto il suo partito abbia, almeno in passato, vagheggiato una secessione, ma perché dimostra di non essere in linea con i presupposti basilari del nostro stato democratico; non sta affatto osservando la Costituzione laddove dispone: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. L’attuale ministro degli Interni non sta esercitando le sue funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione, ma secondo i dettami dei suoi elettori: non va bene per un parlamentare (fino a legge contraria non legato da vincolo di mandato elettorale), immaginiamoci se può andar bene per un ministro.

Penso tutti ricordino come Umberto Bossi, allora leader della Lega nord, intendesse pulirsi il sedere con la bandiera italiana. Ebbene, Luigi Di Maio ne voleva fare lo strumento per un’indegna gazzarra contro il Presidente della Repubblica, salvo fare un ancora più indegna e opportunistica retromarcia. Salvini sta andando ben oltre il folclore bossiano, di fatto ha sostituito la bandiera italiana con quella leghista. Rimpiango Bossi. Il giallo e il verde mescolati assieme fanno il blu, come la mia rabbia. Ma si vede chiaramente che il giallo tende a scomparire e prevale il verde, che non ha niente a che vedere con la speranza. Se ne rendano conto anche i grillini, succubi del disegno salviniano: hanno buttato fuori dalla porta Berlusconi e si vedono rientrare dalla finestra qualcosa di peggio.  Se devo essere sincero: nonostante tutto mi è più simpatico Salvini (almeno si capisce cosa vuole) rispetto a Di Maio (non solo non si capisce cosa vuole, ma non lo capisce nemmeno lui). Con Salvini non c’è mai fine al peggio, con Di Maio al meglio non c’è neanche inizio.