Sopra il governo aleggia il dubbio del sottogoverno

Stupisce come i media, durante la defatigante trattativa per la formazione del governo post-elettorale, abbiano fortemente trascurato la dietrologica ma illuminante pista delle imminenti nomine del cosiddetto sottogoverno. Potrebbe essere stato l’argomento più convincente per indirizzare le due forze politiche a cercare un modus vivendi contrattuale (non si tratta infatti di un vero e proprio programma di governo per ammissione degli stessi contraenti) e, dopo un primo clamoroso fallimento, a fare una rapida e vergognosa retromarcia per riprendere frettolosamente in mano un accordo purchessia, in controtendenza rispetto ai “mai e poi mai” proclamati elettoralmente, ma soprattutto per cucinare un’autentica e sgradevole macedonia tra le visioni socio-economico-politiche di M5S e Lega.

Chissà perché il giornalismo (?), così strenuamente critico verso le stanze del potere, si è lasciato sfuggire l’occasione per fare un po’ di allarmismo sulla vena dorotea di coloro che postulano il loro governo quale svolta di cambiamento. Tutti gli osservatori più disincantati si saranno chiesti come mai nel giro di poche ore i due partiti, sdegnosamente recalcitranti di fronte ad una sacrosanta richiesta del Presidente Mattarella, abbiano mutato d’avviso trovando la quadra di un accordo che sembrava impossibile per un pretestuoso scontro aperto con il Capo dello Stato al limite delle vomitevoli e vigliacche ingiurie e della grottesca richiesta di messa in stato d’accusa. Sono state ipotizzate motivazioni di carattere tattico ed elettorale: probabilmente i due partiti, forse sarebbe meglio dire i due presunti leader Salvini e Di Maio, si erano spinti troppo avanti e rischiavano di cadere proprio sul più bello. Non era colpa di Mattarella era semmai tutta colpa del loro dilettantismo.

Potrebbe però aver giocato un ruolo importante la succulenta torta di nomine governative pronta sul tavolo di Palazzo Chigi, talmente invitante da portarli a più miti consigli. E cosa c’è in ballo di tanto importante? Ho fatto una rapida indagine e, salvo errori ed omissioni, riporto di seguito l’elenco delle nomine in questione: consiglio di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti (l’istituzione finanziaria che gestisce la cassaforte dello Stato), della Gse (la società per la gestione dei servizi energetici, della Sogei (la società generale d’informatica che gestisce le tecnologie dell’informazione e della comunicazione); di grandi aziende pubbliche quali Enel, Eni, Fincantieri, Poste, Leonardo, Enav, Mps, Terna, Snam, Italgas (350 incarichi tra consigli di amministrazione e collegi sindacali che potrebbero cambiare la geografia del potere economici del Paese); direttore generale e presidente della Rai;  responsabili dell’autorità dell’energia.

Non so sinceramente quante e quali di queste nomine avrebbero potuto essere fatte da un governo tecnico, ma comunque, con ogni probabilità, i grillini ed i leghisti non si saranno lasciati sfuggire l’occasione per fare man bassa di cariche assai rilevanti. Andare alle elezioni poteva comunque, al di là delle più rosee e sondaggistiche prospettive, rappresentare un’incognita o comunque una complicazione al riguardo. Incassiamo quel che possiamo, si saranno detti, poi si vedrà… Sia chiaro: non mi scandalizzo affatto. Un governo non governa solo con i ministri, ma con l’apparato pubblico alquanto articolato e complesso.  Mi infastidisce l’aria da ingenue donzellette di campagna sciorinata agli italiani in cerca di freddo per il letto e, soprattutto, la distrazione dei media impegnati a ricollocarsi, a mettere le mani avanti, a posizionarsi per salire sul carro del vincitore.

Per sottogoverno si intende, in chiave negativa, la forma di malcostume politico per cui le forze e gli uomini di governo, mediante l’occupazione di posti chiave nell’amministrazione pubblica e in vari enti economici e finanziari, sfruttano e consolidano la propria posizione e quella dei loro amici e sostenitori mediante favoritismi e corruttele. Quindi, quando certe forze politiche si occupavano di coprire le caselle del potere erano bollate come assatanati collezionisti di poltrone, seggiole e strapuntini; ora invece è normale che le cariche pubbliche facciano gola e gioco. Ne prendo atto. Ammetto di avere pensato male, nel senso di aver ipotizzato come la prospettiva delle imminenti nomine di sottogoverno abbia quadrato il cerchio della formazione del nuovo governo. Mi è venuto questo dubbio. Sono un inguaribile menagramo, un malizioso osservatore della politica, un diabolico conservatore (quasi reazionario) dello status quo. Può anche essere, ma, come dice il contestato aforisma andreottiano, “a pensar male si fa peccato, ma ci si indovina”.

Non vorrei che per il cambiamento sbandierato dai grillini (i leghisti al governo ci sono già stati parecchio, assieme a Berlusconi, con risultati…) potesse valere quanto successe all’apertura della stagione del centro-sinistra, vale a dire all’ingresso governativo dei socialisti. A commento di questa svolta storica riporto, a senso, lo scambio di battute fra Indro Montanelli e Fernando Santi (un vero socialista radicalmente contrario al centro-sinistra). «Ma perché, onorevole, chiese Montanelli, è così ostile a questo nuovo equilibrio politico-governativo?». «Lei non li conosce i miei compagni, rispose Santi, una volta entrati nelle stanze del potere sarà un finimondo…».