La caciara di Cacciari

È ben nota la stucchevole vocazione degli italiani a svolgere il ruolo di commissario tecnico della nazionale di calcio; durante il recente caos politico post-elettorale e pre-governativo si sono scoperti (anche e addirittura) tutti presidenti della Repubblica in pectore rovesciando una valanga di ingiustificate e malevoli critiche su Sergio Mattarella, scantonanti talora nel vero e proprio reato di vilipendio nei confronti del Capo dello Stato su istigazione irresponsabile degli inqualificabili e squallidi protagonisti dell’attuale politica italiana, i cosiddetti vincitori delle ultime elezioni, ai quali va assegnata, come minimo, la palma dei perdenti sul piano del buongusto e della correttezza.

Mi ha sinceramente stupito che a questa paradossale gara di tiro a Mattarella partecipi gente culturalmente altolocata, come ad esempio il filosofo Massimo Cacciari, il quale, partecipando ad un dibattito televisivo, ha rivolto critiche al Presidente della Repubblica, per fortuna non sguaiate e triviali, ma ugualmente offensive per la loro superficialità e banalità. Cosa sostiene l’autorevole uomo di cultura, a cui consiglierei di rifugiarsi finalmente nel bunker universitario per un periodo di isolamento dalla politica parlata, evitando il rischio di passare alla storia per le cavolate politico-istituzionali sparate nei salotti televisivi piuttosto che per le apprezzabili e profonde analisi filosofiche. Massimo Cacciari, rispondendo alle domande dell’insipida ed opportunistica moderatrice Lilly Gruber, ha fatto, col senno di poi, la lezioncina a Mattarella: il Presidente avrebbe dovuto logorare i protagonisti della scena post-elettorale, dando, al buio, l’incarico di formare il governo prima a Salvini, quale leader della coalizione di centro-destra e poi a Di Maio quale rappresentante del maggior partito. Questi signori, privi di maggioranza a livello parlamentare, sarebbero andati a sbattere, dopo di che Mattarella avrebbe potuto giocare in modo vincente la carta del suo governo tecnico. Se, ascoltando Salvini, mi sento al volgare bar sport della politica, ascoltando Cacciari mi sono sentito all’insulso salotto istituzionale: forse, tutto sommato, è meglio il bar salviniano, almeno lì c’è gente che non ha la puzza sotto il naso.

Ma torniamo al merito dei ragionamenti (?) cacciariani, nei quali esiste un equivoco di fondo: Mattarella non è un capo-partito che intende fregare l’avversario politico, un libero pensatore con licenza di navigare intellettualmente a vista, un personaggio preoccupato di mettere in buca chi la pensa diversamente da lui, o, ancor peggio, un bluffante giocatore di poker. Mattarella è il Presidente della Repubblica: “rappresenta l’unità nazionale” e, non a caso, “prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune”. Non può giocare al massacro post-elettorale, partendo dal presupposto che gli eletti dal popolo non valgano nulla (anche se purtroppo nel caso di queste elezioni, e non solo in queste, può essere vero) e quindi debbano essere portati al fallimento per poi costruire qualcosa sulle loro macerie. Che senso poteva avere incaricare Matteo Salvini di fare un governo di centro-destra dal momento che questa coalizione era lontanissima dall’avere una credibile maggioranza in Parlamento? Analogo discorso per il M5S ed il suo leader. Queste mosse avrebbero solo logorato i partiti e spento sul nascere ogni possibilità di formare un governo sulla base delle indicazioni elettorali: quella sì che sarebbe stata una surrettizia prevaricazione rispetto alla volontà popolare. Mattarella ha scelto la strada maestra, a rischio di sporcarsi le scarpe, ma ha fatto benissimo, perché non poteva permettersi il lusso di giocare a non fare il governo politico per scodellare poi il governo tecnico e farlo bere a tutti.

Solo dopo avere verificato pazientemente e correttamente la inesistenza di una maggioranza politica in Parlamento e la mancanza della volontà di formare una coalizione programmatica solida e credibile, ha ripiegato sul governo tecnico, pronto a riaprire il discorso politico qualora ne spuntassero i presupposti. Così è andata ed è venuto fuori il contratto del governo di cambiamento a cui il Presidente ha però posto un inevitabile alt a livello ministeriale, come previsto espressamente nei suoi poteri di scelta dei ministri e nei suoi doveri di garanzia costituzionale. Solo allora ha ripreso corpo l’ipotesi del governo tecnico, tenuto in sospeso per l’incertezza e l’incoerenza dei protagonisti a livello partitico fino al definitivo e strambo accordo raggiunto in zona Cesarini.

È ben curioso che un autorevole uomo di cultura, peraltro già impegnato in qualche modo nell’agone politico, critichi Mattarella per non aver snobbato la politica, logorandone i protagonisti con la settimana enigmistica alla mano: butto giù Salvini, poi elimino Di Maio e finalmente impongo nei fatti il governo tecnico.  Dio ci scampi e liberi da un presidente della repubblica che fa il bullo istituzionale, come vagheggia Massimo Cacciari. Di bulli ne abbiamo anche troppi e mi stupisce che Cacciari abbia contratto, seppure in forma ancora lieve, la malattia del bullismo: intanto che è ancora in tempo si curi, si autoricoveri all’università, faccia il suo mestiere, scriva libri di filosofia, impartisca lezioni ai suoi studenti e lasci stare la politica che, almeno per il momento, non fa per lui.