Signori, è in scena la politica!

Se ben ricordo, in questi concitati giorni di trattative per la formazione del governo, ad un certo punto, pressato da ogni parte da telecamere e domande, Matteo Salvini ha invitato tutti alla calma, sottolineando di non essere una star dello spettacolo o dello sport. Molto peggio, è una star della (non) politica, finita nelle mani di operai specializzati della comunicazione, capaci di coprire il nulla della sostanza con il tutto della forma. Siamo alle prese con politici che, non avendo niente di interessante da dire e fare, esibiscono, come le attricette di scarso valore, le cosce, le tette, i culi, forse anche qualcosa di più. E tutti a rincorrerli, a prenderli sul serio e, cosa ancor più grave, a votarli.

Intendiamoci bene, non so se venga prima lo stomachevole uovo mediatico della spettacolarizzazione, a tutti i costi, della politica oppure la gallina della politica esibita dai protagonisti con il cattivo gusto del primadonnismo. Le porte del Quirinale sono diventate meglio di quelle cigolanti dei film gialli: la suspense creata ad arte nell’attesa di cosa diranno di sconvolgente Salvini e Di Maio. Siamo arrivati al punto che il colpo di teatro di un Berlusconi a corto di fiato, disertore delle telecamere dopo un triste colloquio col presidente del consiglio incaricato, ha tenuto banco per ore e ore sui canali tv alla ricerca di qualche risvolto dietrologico.

Politica e informazione, combinate insieme da comuni interessi di bottega, stanno facendo un pessimo servizio al nostro Paese, anche se purtroppo è vero che tutto il mondo è Paese. Non mi vengano a raccontare che si tratta di libertà di stampa, perché l’informazione ridotta ad avanspettacolo è l’esatto contrario. Non mi si dica che si tratta di trasparenza: sì, in effetti qualcosa traspare, vale a dire che dietro le cortine fumogene del cambiamento non c’è nulla, se non le “tette” di Salvini e Di Maio. In questo contesto il Presidente Mattarella sembra un inutile censore, un retrogrado attore che ha sbagliato palcoscenico. Cerca puntualmente e disperatamente di fare il suggeritore di un copione completamente diverso da quello interpretato sulla scena e rischia addirittura le lamentele della compagnia di giro e i fischi del pubblico che vuole solo divertirsi.

Il testo della commedia è piuttosto sgangherato, il capo-comico va in scena senza conoscerlo per filo e per segno, i registi sono due ed hanno due concezioni e visioni diverse  dell’opera teatrale, il sovrintendente si mette le mani nei capelli, ma ormai la rappresentazione è in cartellone e il pubblico l’aspetta con interesse e curiosità, la critica punta tutto sugli effetti speciali sperando che coprano le carenze drammaturgiche dello spettacolo e poi, costi quel che costi, non si può mancare questo appuntamento  pena l’emarginazione  da tutta la prossima stagione. Signori si va in scena, anzi siamo già in scena e da parecchio tempo.

Il loggione è tutto orecchie e apprezza la recitazione urlata, dai palchi viene qualche timido brusio lestamente zittito, la platea è perplessa ma non riesce a determinare l’andamento dello spettacolo.  “Com’è bello il teatro”, diceva mio padre con le lacrime agli occhi e non avrebbe mai più pensato che anche la politica finisse sul palcoscenico. Nell’ultimo atto dell’opera Falstaff, la vicenda si svolge in una foresta e Sir John dice espressamente “ecco la quercia” per identificare il luogo dell’appuntamento. “Mo indò éla?”, gridò mio padre dal loggione, dal momento che la scena non aveva neanche l’odore della quercia. Maleducato? Sì! Aveva ragione: almeno un po’, sì! Oggi il testo reciterebbe: «Ecco la politica!». E mio padre non cambierebbe la sua reazione: «Mo indò éla?». Anche se il discorso sarebbe molto lungo e complesso, valga comunque l’episodio ad evidenziare un messaggio che papà mi lanciava: stai sempre attento ai mistificatori della realtà, a chi te la vuole raccontare.