La volpe berlusconiana e l’uva salviniana

Il partito socialista italiano nella sua contraddittoria storia si è per molto tempo distinto per le alleanze ballerine che promuoveva: a livello periferico andava a braccetto con i comunisti (il cosiddetto frontismo), mentre a livello governativo centrale si alleava con la democrazia cristiana e i partiti laici minori. Con questo gioco dei bussolotti, nascondendosi dietro il dito del fattore K, i socialisti lucravano una rendita di posizione al centro ed in periferia, proponendosi come ago della bilancia negli accordi di potere. Il “fattore k”, dal russo Kommunizm (comunismo), fu utilizzato per la prima volta in un editoriale di Alberto Ronchey sul Corriere della Sera nel 1979 per spiegare il mancato ricambio delle forze politiche governative nella prima annosa fase dell’Italia Repubblicana. In primo luogo al partito comunista era interdetta la partecipazione al governo a causa dello stretto legame con l’Unione Sovietica. In secondo luogo in Italia il Pci era la seconda forza politica in Parlamento e ciò impediva ai socialisti ed ai socialdemocratici di raggiungere un numero di consensi sufficienti per rappresentare l’alternativa di sinistra.

La berlusconiana Forza Italia sta iniziando a fare un giochino simile: nelle regioni e nei comuni governa con la Lega di Matteo Salvini, mentre a livello centrale si rifiuta di appoggiare la coalizione grillo-leghista o dimaian-salviniana come dir si voglia. Il gran rifiuto assomiglia molto all’atteggiamento della volpe nei confronti dell’uva nella favola di Esopo: una volpe furba e presuntuosa che trovò una vigna dagli alti tralicci e, non riuscendo a raggiungere l’uva, lasciò perdere, dicendo fra sé e sé: “Pazienza, si vede che non era ancora matura, non mi va di spendere troppe energie per un frutto ancora acerbo”. In realtà, infatti, detto come va detto, sono stati i grillini a mettere un veto a Berlusconi e non il contrario come si sta sforzando di fare il cavaliere, squalificando (peraltro giustamente) il M5S quale movimento di analfabeti della politica e della democrazia, di fannulloni arrivisti, di incompetenti a tutto tondo, di avventuristi antieuropei, di dilettanti allo sbaraglio presentati da Salvini.

Si sta utilizzando (peraltro giustamente) il “fattore E”, Europa, per bloccare o comunque condizionare sul nascere le velleità di un governo sfasciacarrozze. Silvio Berlusconi, che nel 2011 gridava al golpe quando gli strali europei era indirizzati (giustamente) al suo governo, oggi fa l’europeista convinto, il moderato amico dei popolari europei, il rispettoso osservante degli accordi monetari e finanziari, il preoccupato difensore dell’europeismo italiano, il notabile di un centro-destra con tanti voti (peraltro prevalentemente non suoi), ma senza capo né coda.  Oltretutto Berlusconi, ringalluzzito dalla verginità riconquistata con la riabilitazione giudiziaria, dimentica che l’inaffidabilità evidente di questo (ancora) eventuale governo non dipende solo dalle enormi contraddizioni pentastellate, ma anche e soprattutto dalle clamorose ed estremistiche pretese leghiste e quindi dalla confusione che regna sovrana nel centro-destra: un casino che funziona (?) nelle regioni e che puzza di bruciato nelle istituzioni centrali.

Non so fino a qual punto l’ostilità berlusconiana verso i cinquestelle sia dovuta ad argomentazioni politiche o a motivi di opportunismo personale e aziendale. Operare questa distinzione nel modo di fare politica del cavaliere è impresa impossibile. Berlusconi va preso com’è. Montanelli lo considerava una malattia e si augurava che gli italiani si facessero, il più in fretta possibile, gli anticorpi. Non è successo dal momento che, politicamente parlando, è ancora piuttosto arzillo e pettoruto (arzuto e pettorillo come si dice in Boheme). Poi, parliamoci chiaro, è sopraggiunta un’altra malattia contagiosa, il grillismo, con tanto di untore (Matteo Salvini) e allora, quasi quasi, meglio un berlusconismo cronico di un grillismo acuto.