Angeli e demoni fra berlusconismo e grillismo

Uno dei capisaldi metodologici del fare politica di Silvio Berlusconi è da sempre quello di individuare un nemico largamente condivisibile su cui sfogare e orientare le viscerali contrarietà della gente. Il giochino ha funzionato per parecchio tempo verso i comunisti: scendo in politica per difendere l’Italia dai comunisti, disse nel 1994, cavalcando, in modo sbracato ma efficace, i rimasugli derivanti dal finto testimone, che una DC spenta e logora gli avrebbe passato. L’anticomunismo senza comunismo: un piccolo/grande capolavoro di idiozia propagandistica, bevuta a gola aperta dal popolo frastornato da tangentopoli. I nemici si allargarono un po’ troppo: i magistrati, i giornalisti, i sindacati, ma il regime berlusconiano, come del resto tutti i regimi, cadde rovinosamente implodendo davanti ai  problemi di carattere economico legati alla crisi del 2008 ed anni successivi.

Alle ultime elezioni dello scorso marzo il cavaliere ha tentato il colpaccio: ergersi a difesa rispetto al nuovo nemico, il grillismo dilagante, per certi versi somigliante al berlusconismo a livello di azienda-partito, di personalizzazione della leadership, di mediatizzazione della politica, di irregimentazione del consenso, di familizzazione del partito/movimento, di internazionalizzazione populistica. Non gli è riuscito per logoramento dell’immagine, per anacronismo conflittuale, per mutamento delle categorie politiche. È rimasto schiacciato fra i due populismi in voga: quello di casa sua interpretato dalla Lega di Matteo Salvini e quello più lontano interpretato dal movimento cinque stelle.

Chi di inimicizia ferisce, di inimicizia perisce: i pentastellati hanno frettolosamente eletto Berlusconi a loro nemico giurato, abbandonando o per lo meno sfumando la conflittualità verso il PD considerato l’asse portante del sistema. Credo lo abbiano fatto per due motivi tattici: per mettere in grave difficoltà il potenziale alleato leghista e per crearsi comunque fin dall’inizio un alibi per le difficoltà e le incapacità facilmente preventivabili. Se qualcosa non andrà per il verso giusto, sarà sempre colpa di Berlusconi, dei suoi colpi di coda, delle sue resistenze e complicità, dei suoi legami col passato, dei suoi ricatti verso la Lega. Il cavaliere si è visto sbattere in primo piano nella guerra al sistema, è diventato il nemico di pietra del grillismo governante, ha dovuto far buon viso a cattiva sorte pena la irrilevanza politica ed aziendale.

Se l’ignobile connubio tra leghismo e grillismo fallirà, non sarà per colpa di Berlusconi, ma per incapacità congenita, per confusione mentale, per contraddizioni insanabili, per scopertura degli altarini della protesta e dell’antipolitica, per debolezza culturale di un sovranismo di facciata dietro cui si nasconde un inquietante pressapochismo politico. I tromboni filo-grillini hanno già cominciato a menare il can per l’aia berlusconiana, fornendo alibi preventivi, seppure in negativo, all’operazione politica in via di allestimento. Se è vero che andare al governo col nulla osta di Berlusconi non è certo una partenza esaltante ed il miglior viatico, è altrettanto certo che l’onda d’urto forzitaliota non sarà determinante e decisiva per la vita del governo Salvini-Di Maio.

Nel 1994 gli esperti diedero sei mesi di tempo a Berlusconi per mettere le radici al governo del Paese, prima che la gente si ridestasse dal sogno: non fu proprio così, anche perché a distanza di 24 anni il cavaliere, anche se a corrente alternata, è ancora presente sulla scena politica, seppure un tantino (?) depotenziato e sminuito.  Qualcuno con troppa supponenza culturale applica analoghe previsioni al M5S: speriamo di non ritrovarci nel 2042 con i pentastellati fra i piedi dopo immani disastri e una sinistra eternamente divisa, indecisa e incapace di prendere il toro per le corna.