La storia che (non) si ripete

L’atteggiamento del partito democratico, se prescindiamo da inutili rivalse dialettiche e da evidenti incompatibilità programmatiche nei confronti del M5S, può essere ricondotto a due ragionamenti politici di fondo: da una parte chi (mi pare che l’antesignano di questa problematica tesi sia Giorgio Tonini) si preoccupa di non regalare definitivamente il grillismo all’antipolitica, ma di risucchiarlo beneficamente nel gioco politico contribuendo alla sua evoluzione e legittimazione democratica; dall’altra chi (soprattutto l’ex segretario Renzi) non vede altra possibilità al di là di un dialogo finalizzato alle riforme istituzionali (in primis una nuova legge elettorale). Meglio la sussiegosa presunzione o lo sdegnoso scarto?

La prima opzione assomiglia molto alla solidarietà nazionale di stampo moroteo, fatte le debite distinzioni di tempo e luogo; la seconda al patto costituzionale di demitiana memoria. Nei giorni scorsi mi sono già esercitato nel ricordo di queste strategie politiche contrapponendole all’insulso e sprezzante discorso tattico del contratto di governo portato avanti dai pentastellati. Probabilmente mi sto sforzando di spremere le rape, ma credo sia un tentativo per verificare se sotto la crosta dei meri tatticismi ci possa essere qualcosa di politicamente serio. Il livello del dibattito in corso, anche per colpa di una odiosa sarabanda mediatica, è decisamente basso e quindi mi sembra opportuno, nel mio piccolo, tentare di alzarlo, guardando avanti o indietro, a seconda dei casi.

Al suo nascere ho concesso al grillismo il merito di dare una qualche rappresentanza politico-culturale alla protesta, pericolosamente deviante verso il qualunquismo. Poi, strada facendo, questo connubio ha finito col ripiegare su una lisciata di pelo alla piazza usando la spazzola dell’antipolitica fine a se stessa. Ne è uscita una deriva protestataria premiata dalle urne, ma sostanzialmente sterile e orientata sostanzialmente alla demagogia di destra o di sinistra, come dir si voglia. Sarà possibile ricondurre alla ragione politica questo andazzo, senza esorcizzarlo, ma tentando di riportarlo sul terreno del dialogo e della collaborazione. Una bella scommessa! Si tratterebbe di ragionare partendo dai presupposti di un’azione di governo moderna: rapporto imprescindibile con l’Europa, rispetto dei vincoli finanziari e di bilancio, progresso sociale legato allo sviluppo economico, etc.

Se invece si dà per scontata l’impossibilità del dialogo politico occorre ripiegare su quello, non meno arduo, di carattere istituzionale: non saprei se venga prima l’uno o l’altro o se siano addirittura le due facce di una stessa medaglia. Sarebbe comunque già un bel passo avanti uscire dalle ripicche e dalle pregiudiziali per affrontare discorsi di strategia. È pur vero che questo Paese ha bisogno di essere governato, non però in senso avventuristico o al buio. Il centro-destra fa melina e ipotizza governi accattoni, di minoranza, che vadano col cappello in mano a raccattare consensi a destra e manca. Di Maio (a proposito, Grillo dove è finito?) vuol andare dal notaio per stendere il rogito delle buone intenzioni. Tutto sommato meglio ragionare di massimi sistemi. Si fa prima infatti a scendere che a salire, salvo scivoloni.