Facciamo finta che…

Le differenze valoriali, politiche, tattiche e strategiche nel centro-destra sono clamorosamente stranote: al liberismo di Forza Italia corrisponde un egosocialismo della Lega, all’europeismo forzista fa da contraltare il sovranismo salviniano e meloniano, al moderatismo berlusconiano si contrappone l’estremismo leghista, dall’insistita smerdata del cavaliere verso i grillini (dai cessi di mediaset al profilo hitleriano, dal deficit democratico all’esproprio proletario) si distingue una testarda ed evidente attenzione di Salvini verso il M5S, dalla preoccupazione di salvaguardare un clima respirabile per le aziende Fininvest alla stravagante e forsennata prefigurazione di un clima rissoso e conflittuale, dall’opzione per un governo del presidente, che consentirebbe a Forza Italia di respirare, a quella per un rapido ritorno alle urne che accentuerebbe ulteriormente l’egemonia leghista sul centro-destra, da una netta preferenza al dialogo col PD, che Berlusconi non esiterebbe pragmaticamente ad aprire, alla stucchevole demonizzazione di Renzi e della sinistra.

In poche parole Matteo Salvini muore dalla voglia di fare il governo con i pentastellati e sacrificherebbe volentieri su questo altare l’alleanza con Forza Italia, considerata un’inutile palla al piede, ma non lo può dire e, tanto meno, fare. E allora si nascondono tutti dietro l’insistenza di un governo, che veda protagonista principale il centro-destra unito, sperando che i grillini si turino il naso ed accettino di scendere a patti col diavolo (leggi Berlusconi). Il cavaliere, con la sua logorroica verve anti-grillina, disfa sistematicamente la tela che Salvini tesse telefonicamente con Di Maio: in realtà è aperto uno scontro sulla leadership del centro-destra, che vede in precario equilibrio i contendenti in attesa della resa dei conti politica ed elettorale.

Se i contrasti del centro-destra emergono con una certa evidenza e vengono maldestramente coperti in faccia ad un elettorato distratto e confuso, quelli all’interno del M5S restano sotto traccia. Esistono due anime: quella barricadiera e protestataria che cavalca lo scontento ed il qualunquismo dilagante, quella cioè dell’anti-politica servita calda al bar sport, e quella in doppio petto istituzionale dei Fico e dei Di Maio, che ritengono giunto il momento di misurarsi nel governo del Paese, anche se la preparazione atletica svolta in periferia li ha resi politicamente gracili ed impreparati ad una simile sfida.  I cinque stelle sono al settimo cielo: hanno vissuto nel solito equivoco tra lotta e governo, tra piazza e parlamento, tra protesta e proposta, ma ora sta arrivando il redde rationem. Non so quanti grillini siano del parere di scendere a patti con “i nemici” pur di provare a governare. In un certo senso il responso elettorale li ha inchiodati ad un consenso troppo basso per assumere in proprio responsabilità di governo e troppo alto per rimanere in stand by contro tutto e tutti. Doveva, prima o poi, arrivare questo momento, forse è arrivato troppo in fretta e li mette in seria difficoltà al di là delle grossolane e trionfalistiche esultanze post-elettorali.

Mentre centro-destra e M5S fanno di tutto per nascondere ed ovattare i loro contrasti interni, nel partito democratico i panni sporchi si lavano in piazza: c’è in atto, fin dal giorno successivo alle elezioni, lo scontro fra la tonificante anima trattativista, impersonificata dagli esponenti della vecchia guardia, e l’opzione rigenerante isolazionista incarnata dalla nutrita e maggioritaria pattuglia renziana. Niente di male e soprattutto niente di nuovo sotto il sole. Che infastidisce è il tono sbracato e ultimativo, la radicalità, al limite dell’ideologia, di certi ragionamenti: da una parte l’ansia di recuperare frettolosamente e superficialmente una verginità identitaria a sinistra o di innescare una rapida rivincita, dall’altra parte la paura di rimanere isolati ed essere emarginati dai giochi della politica e del potere. Questa pregiudiziale diatriba sbattuta in faccia alla gente non accredita il PD come forza autenticamente democratica, che discute e decide apertamente, ma come coacervo di personaggi disperatamente in cerca d’autore, come un partito senza capo e senza coda. Ci sono momenti politici (e non solo politici) in cui il silenzio è d’oro o, almeno, in cui bisogna parlare poco e a tono, soprattutto sforzarsi di stare su questioni precise e trasparenti. La direzione del partito dibatterà animatamente sulla possibilità di aprire un confronto col M5S al fine di costituire un governo, ma sarà una discussione di puro principio. Se si resta ancorati a questo livello, non c’è dubbio che il dialogo coi grillini sia improponibile. Bisogna invece dire un sì o un no su qualcosa di eventualmente più concreto ed articolato. Rimanere inchiodati a scelte pregiudiziali è il peggior modo di (non) fare politica.