Dal patto costituzionale al contratto di servizio

Nel 1967, in pieno clima da guerra fredda, il democristiano Ciriaco De Mita elaborava una proposta di “patto costituzionale” al Partito Comunista Italiano: si trattava di cogliere, con il varo delle regioni a statuto ordinario, l’opportunità di distinguere i processi di revisione costituzionale dalle maggioranze parlamentari politiche: una sorta di sdoppiamento su due piani della politica italiana, il piano delle regole fondamentali aperto al dialogo col Pci, il piano governativo circoscritto alle maggioranze di centro-sinistra escludenti il partito comunista.

Non se ne fece nulla, anche perché il discorso del patto costituzionale veniva da una minoranza all’interno della DC, mentre il Pci non era maturo per abbandonare il suo splendido isolamento. Solo nel 1973 Enrico Berlinguer cominciò a parlare di compromesso storico, vale a dire della necessità di perseguire una strategia volta non solo e non tanto a raggiunge una maggioranza parlamentare di sinistra, ma un rapporto costruttivo tra tutte le forze popolari e progressiste del Paese.

Nel 1976 Aldo Moro tradusse il compromesso storico in solidarietà nazionale, vale a dire nella possibilità di sperimentare, seppure transitoriamente, formule di governo che coinvolgessero, in qualche modo, i comunisti, favorendone la piena e totale democratizzazione, per poi arrivare nella cosiddetta terza fase all’alternanza fra i due poli, uno popolar-moderato egemonizzato dalla DC e l’altro social-riformista guidato dal Pci: le due forze politiche fondamentali, che si richiamavano alla cultura, alla storia ed alla tradizione dei cattolici e dei socialisti. Quel processo politico fu disgraziatamente interrotto sul nascere a causa del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro, il quale ne era il garante a trecentosessanta gradi.

Perché questa breve e semplicistica premessa? Perché il Movimento Cinque Stelle sta facendo al PD la proposta di un “contratto politico o di governo”: non un patto costituzionale, non un’alleanza di governo, ma soltanto un accordo sulle cose da fare nell’interesse degli italiani. Al di là della notevole abilità (?) lessicale, faccio effettivamente fatica a comprendere la portata di una simile avance e la sua fattibilità. Qual è infatti la differenza tra un contratto ed un’alleanza: il primo riguarda alcuni specifici ambiti e interessi e tenta di regolamentarli per filo e per segno; la seconda si allarga ad una visione condivisa e solidale di un campo molto più vasto ed impegnativo per le parti in causa. Mi risulta particolarmente difficile configurare un governo sulla base di un contratto limitato, che prescinda dall’alleanza politica, almeno tattica, fra i contraenti.

Ci si può infatti sforzare di individuare ed isolare alcuni problemi e la soluzione programmatica di essi, ma i bisogni della gente, che nella mentalità grillina vengono demagogicamente enfatizzati e considerati la base politica da cui partire e su cui lavorare, non possono prescindere da un contesto di carattere generale e dinamico entro cui bisogna governare quotidianamente affrontando le situazioni nel loro divenire e nei loro collegamenti con tutta la realtà interna, europea ed internazionale. In una ipotesi “contrattualistica” di governo, così come la intenderebbero i pentastellati, il presidente del consiglio sarebbe il capo-comico ed il regista, i ministri gli altri attori di un copione scritto e immutabile nel tempo e nello spazio.

Governare non è interpretare un copione, ma è un’arte da esprimere quotidianamente, tutt’al più ci può essere un canovaccio da condividere e su cui lavorare, ma non tutto può e deve essere previsto e calcolato in anticipo. E allora ogni volta che la situazione muta si ritorna al contratto per rivederlo? Credo si stia farneticando. Anche con tutta la buona volontà e l’apertura a metodi e contenuti nuovi, la politica è altra cosa ed effettivamente i grillini sembrano non averne l’indirizzo. Se questa è la base di partenza non vedo molti spiragli positivi per un governo M5S-PD. Ciò non significa chiudere pregiudizialmente il confronto, ma approfondirlo rigorosamente e seriamente.