La cucina d’evasione o d’invasione

Prima o poi bisognerà smaltire la sbornia elettorale e speriamo di uscire indenni(?) dalla problematica del dopo-voto, che è fortunatamente nelle affidabili mani del presidente Mattarella.  Dall’indigestione elettorale passo quindi a quella che ogni giorno si rischia guardando i programmi televisivi: una girandola di trasmissioni dedicate al cibo e alla cucina, talmente insistenti e ripetitive da far passare l’appetito.

La televisione sembra darci uno stimolo eticamente riprovevole: vivere per mangiare! La buona tavola è certamente un valore da tutti i punti di vista: Gesù stesso non era un digiunatore di vocazione, amava mangiare in compagnia e per questo era considerato un beone e non si faceva scrupolo di pranzare con personaggi equivoci e chiacchierati.

Ricordo il gusto e la soddisfazione con cui mio padre al termine di una giornata lavorativa poteva sprofondare nella sua poltrona, accendere la lampada, inforcare gli occhiali e dedicarsi alla lettura del giornale con un’attenzione ed una concentrazione tali da fare invidia al fior fiore degli intellettuali. Mia madre si lamentava della sua eccessiva dedizione a questo rito culturale, ma lui non si distaccava dalla giusta e succulenta abitudine: solo il richiamo della cena pronta in tavola era in grado di interrompere il collegamento. Sì, perché il mangiare insieme per mio padre era la concretizzazione dell’unità della famiglia: su questo punto vigeva una sorta di intransigente regola, che solo a distanza di tempo ho potuto comprendere ed apprezzare appieno. “Magnèmma insèmma, po’ se vón al gh’à d’andär fóra al va”: unità nella diversità, insieme ma non legati, una concezione quasi religiosa del condividere il pasto, del sedere alla stessa tavola. Anche quando dopo parecchio tempo fu introdotta in casa Sua Maestà la televisione, il tubo catodico fu sempre tenuto rigorosamente lontano dalla cucina, dal locale dove si consumavano i pasti: se in TV trasmettevano un evento proprio irrinunciabile, si raggiungeva l’onorevole compromesso di anticipare l’ora del pasto per poi potersi trasferire in salotto ed assistere al programma televisivo. Altri tempi.

Oggi si parla di cibo, si cucina e si mangia continuamente in televisione. Evidentemente questi programmi di carattere culinario avranno alti indici di ascolto: una sorta di scacciapensieri, che va per la maggiore. Poi, per chi ingrassa ci sono le trasmissioni dietetiche; per chi fa indigestione ci sono i programmi di approfondimento medico-scientifico. Tutti affamati, tutti grassi, tutti malati, tutti spensierati, tutti perditempo intenti ad ascoltare le chiacchiere propinate da insulsi e penosi dibattiti ed a subire l’invadenza opprimente della pubblicità.

Tv pubblica e tv private, unite appassionatamente per addormentarci e trattarci da aspiranti coglioni. Ricordo come un caro amico, ai tempi della contestazione, si fosse giustamente scandalizzato dell’enorme spiegamento di forze di polizia a difesa delle “cagone e dei cagoni”, che si recavano alla prima del Regio. Aggiunse: «Togliamo la scorta ai politici e ad altri personaggi che rischiano la vita, per proteggere dal lancio di uova e ortaggi le scorribande dei finti melomani in abito scuro e lungo…». Il mio spirito sessantottino ogni tanto ritorna e me ne scuso. Si tratta di un parallelismo sottile, ma pertinente: ho richiamato questo episodio perché magari, dopo la stupida sarabanda televisiva di cui sopra, ci lamentiamo per i programmi “barbosi”, quelli culturali e storici e non esitiamo a sacrificarli sull’altare della ricreazione continua. Il dilettevole che soffoca l’utile. Non soccombono i programmi politici, perché anche la politica è finita nel tritacarne vanesio e ciarliero funzionale al sistema, compreso più che mai, a livello comunicativo e non solo, anche il trionfante M5S: evasione totale di cui quella fiscale è solo un aspetto.