Le sconfitte che fanno storia

Oggi andiamo al bar sport, non per parlare di politica, come ormai fanno sistematicamente gli italiani, ma per parlare di…sport, ma non proprio e solo di sport. Esso è pieno di eventi storicamente rilevanti, che registrano sconfitte clamorosamente ingiuste, le quali hanno assunto un significato, che va ben oltre l’esito squisitamente tecnico. Tutti ricordano, per averlo letto, sentito raccontare o visto nelle sbiadite immagini d’epoca, il fatto della squalifica di Dorando Pietri alla maratona olimpica di Londra del 1908 (arrivò in testa alla corsa stremato in vista del traguardo e fu sostenuto dai giudici di gara e per questo escluso dalla graduatoria): la coppa d’oro offertagli dalla Regina Alessandra fu molto più importante della medaglia d’oro conquistata dal suo avversario Jonny Hayes, le immagini della sua impresa e del “drammatico” e commovente epilogo fecero il giro del mondo ed egli entrò nella storia dell’atletica leggera e dello sport in genere.

Rammento un vergognoso verdetto in un match di pugilato olimpionico: lo sconfitto, un simpatico atleta italiano di cui non ricordo il nome (non sono riuscito a recuperarlo), si aggirava sul ring e diceva sconsolatamente e piangendo: ho vinto io! In effetti aveva vinto per tutti, meno che per la disonesta commissione giudicante. Quell’episodio fece il giro del mondo e quel pugile, messo KO dall’ingiustizia sportiva, divenne un personaggio di successo.

E che dire della cosiddetta “Battaglia di Santiago”, l’incontro fra le nazionali di Cile e Italia ai campionati mondiali di calcio del 1962: il famigerato Ken Aston, col suo scandaloso arbitraggio, causò l’eliminazione dell’Italia, ma la nazionale italiana ottenne lustro e considerazione da questa famosa sconfitta, mentre quel poveraccio in giacchetta nera diventò l’emblematico zimbello di tutta la categoria arbitrale.

Analoga situazione si ebbe ai mondiali di calcio del 2002 con la partita Corea del sud-Italia vinta dalla nazionale di casa per 2 a 1, arbitrata da un ecuadoriano, che ne fece di tutti i colori per mandare a casa l’Italia, rendendosi protagonista (non unico) di un vero e proprio scandalo sportivo.

La vittoria del Real Madrid sulla Juventus, segnata da un assurdo rigore concesso nei minuti di recupero, passerà alla storia come ingiusta sconfitta della Juventus, già protagonista di una rimonta clamorosa che aveva ammutolito lo stadio Bernabeu. Gli spagnoli, gente seria, hanno esultato poco per questa vittoria “rubata”, al punto che Cristiano Ronaldo li incitava a festeggiare dopo avere trasformato il rigore, regalato da un arbitro in evidente stato di subordinazione psicologica rispetto all’importante club madrileno. Non c’era la Var, ma, se anche ci fosse stata, il rigore sarebbe stato confermato, non perché evidente, ma perché deciso “politicamente”: questa azione la si può guardare mille volte, ma restano infiniti dubbi e, a parti invertite, non avrebbe sortito l’effetto di un calcio di rigore (si chiama “di rigore” e si dice “c’erano o non c’erano gli “estremi” per concedere un calcio di rigore: quindi va assegnato con rigorosa certezza nei confronti di tutti). Non esce sconfitta la Juventus, ma la classe arbitrale che non rinuncia mai a schierarsi dalla parte del più forte: storia vecchia, che non riguarda peraltro solo lo sport.  Non vince il Real Madrid, ma la ragion di calcio.

La Juventus, dopo questa paradossale eliminazione dalla Coppa dei Campioni, è diventata più simpatica (almeno a me, che non sono certo un tifoso juventino): aveva quasi fatto un’impresa storica, recuperare tre gol in trasferta contro una squadra blasonata e zeppa di grandi giocatori, fra cui l’antipatico fuoriclasse padreterno Ronaldo, messo a tacere dopo l’exploit di Torino, ma sul più bello è stata zavorrata da un arbitro, che invece del cervello ha usato il sedere (non mi è mai stato molto simpatico Luigi Buffon, ma l’altra sera ha detto la verità in faccia a questo assurdo signore e davanti alle telecamere di tutto il mondo).

In cauda venenum. Ora la Juventus si renderà conto del danno fatto allo sport dalle tante ingiustizie arbitrali perpetrate a suo favore. Forse il club bianconero non era abituato a soffrire simili discriminazioni: in un certo senso, chi la fa l’aspetti. A proposito ricordo la prima partita del Parma in serie A allo stadio Tardini, nel 1990 proprio contro la Juventus: vinsero immeritatamente i bianconeri (2 a 1) con un rigore letteralmente inventato dall’arbitro Lanese per un inesistente fallo su Roberto Baggio. Era quasi inevitabile che la matricola Parma fosse immediatamente penalizzata. Seppe rifarsi, ma quella è una storia molto bella sul piano sportivo, ma sporcata dalle vicende giudiziarie del patron Tanzi, che non comprava gli arbitri, ma, senza voler infierire su di lui, faceva di peggio.