Lo strabismo dei politologi

La presente fase politica italiana, ma forse non solo italiana, è caratterizzata da una strana divaricazione di analisi tra l’acritica e banalizzante accettazione della prevalenza di una politica sostanzialmente di destra e la sofisticata e complicata ricerca sui motivi della debolezza della politica di sinistra. Assistiamo cioè, anche da parte degli stessi soggetti, alla quasi gossipara e fatalista presa d’atto di una deriva populista e, contemporaneamente, alla problematica e inesorabile critica verso il progressivo indebolimento della proposta politica riconducibile alla sinistra.

Si dà per scontato cioè che una visione reazionaria della politica possa essere vincente, mentre una politica progressista e riformista debba sudare quattro camice per trovare consenso e successo. In parte il motivo può essere ricondotto alla natura umana di per sé portata a privilegiare interessi particolari rispetto a quelli generali, a rinchiudersi nel proprio immediato tornaconto anziché aprirsi a prospettive di equità, giustizia e uguaglianza. Esiste però anche una sorta di schematismo di comodo in cui è scontato prendere atto della prevalenza della destra, per scaricare tutte le colpe sulla debolezza e incoerenza della sinistra.

Faccio un esempio. La destra cavalca l’opinione e lucra la reazione in tema di sicurezza. A nessuno viene in mente di contestare seriamente le motivazioni a monte di questa assurda e pretestuosa paura dell’immigrato/delinquente, si preferisce scaricare la colpa sulla sinistra, che non sarebbe in grado di coniugare socialità e sicurezza e quindi meriterebbe di essere punita da un elettorato che si rifugia all’ombra di illusori ed anacronistici pugni di ferro. Alla destra si riserva una omertosa, se non benevola, considerazione; alla sinistra si fa un contraddittorio pelo e contropelo: ora le si imputa la mancanza di pragmaticità progettuale e concretezza gestionale, ora la si vede lontana dai principi ed in perdita di identità ideale.

Due pesi e due misure adottati dai commentatori in genere ed anche dai politologi più autorevoli. Quanta poca critica viene rivolta all’impasse politica dei vincitori delle ultime elezioni e quanta eccessiva critica viene riservata alla ritrovata debolezza degli sconfitti. Tutti a fare i maestri alla sinistra ed a subire il discreto fascino della destra, si chiami leghismo, grillismo, post-berlusconismo, rinverdito nazionalismo, antipolitica, populismo e roba del genere. Tutti vogliono insegnare al PD a fare la minoranza, a interpretare il ruolo di opposizione, quasi a nessuno viene voglia di sottolineare la penosa recita di grillini e leghisti combattuti fra la ricerca dell’ignobile connubio e la corsa alle urne per giocare i tempi supplementari della partita contro il fantomatico sistema dei partiti tradizionali. Ricordiamoci che da sempre il neofascismo si è legittimato e coperto sotto le insegne della guerra alla partitocrazia ed ai poteri forti.

Si preferisce dare la colpa di tutto a Matteo Renzi ed alla sua esasperante sinistra di governo piuttosto che approfondire spietatamente i motivi reali di una schizofrenica virata a destra dell’elettorato italiano. Il partito democratico è oltre tutto nella situazione del soggetto perdente, che, qualunque cosa faccia o dica, sbaglia. Non si comprende il gravissimo rischio che si corre condannando culturalmente la sinistra all’irrilevanza e non si capisce come non ci sia in ballo il futuro di Renzi e del partito democratico, ma quello della democrazia italiana, messa in mano ad un coacervo di dilettanti della politica e professionisti della protesta, di ignoranti della storia ed esperti di tecniche per la raccolta del consenso, di onesti blateratori del nulla e disonesti mestatori del tutto.