Vóti o vòti

Se mia madre, più o meno convintamene e seriamente, usava mettere in discussione le proprie scelte matrimoniali dicendo: “Sa tornìss indrè…”, mio padre la stoppava immediatamente ribattendo: “Mi rifarìss còll ch’ j ò fat, né pu né meno”.  E giù a ridere ironicamente delle ipotetiche fughe con l’amante, con i due che scappano e cominciano a litigare scendendo le scale.

Mi è tornata alla mente questa ipotetica scenetta osservando i preliminari dell’ipotetica fuga d’amore fra Di Maio e Salvini: sono alla frutta prima di cominciare il pranzo. Si rinfacciano la mancanza di voti: a te ne mancano 90…pensa per te che ne devi raccattare 50. Il bue che dà del cornuto all’asino oppure, se volete, due bambini che giocano a figurine.

Si torna sempre al punto di partenza: per governare, oltre ai consensi della gente, oltre ai voti del Parlamento, occorre esserne capaci e tale capacità non si inventa da un giorno all’altro e non si acquisisce a dispetto dei santi. Ho notato come, quando si profila un minimo di dialogo sui contenuti, immediatamente si ripieghi sulla polemica delle pregiudiziali: io parlo con te solo se tu riconosci i tuoi errori del passato…io non mi seggo al tavolo con te perché rappresenti il vecchio regime…io propongo le mie idee, ma lascio a te solo la possibilità di prendere o lasciare…o comando io o non se ne fa niente…

Devo ammettere che fra i due contendenti/litiganti chi è maggiormente in debito d’ossigeno democratico è il M5S. La Lega un certo qual “abc” della politica dimostra di possederlo ancora, merito forse di Umberto Bossi, che aveva dato a questo strampalato movimento padano una dignità di partito politico. I grillini non riescono invece a rinunciare alla loro stucchevole identità antipolitica e quindi sono costretti a difendersi da ogni e qualsiasi provocazione metodologica e contenutistica rifugiandosi in corner.

Si sta consumando una vicenda che di politico ha ben poco, sembra infatti un duello psicologico fra due complessati: gli uni condizionati da quello di superiorità (solo noi siamo onesti!), gli altri da quello di italianità (padroni in casa nostra!). Rischia di essere, a dir poco, un dialogo fra sordi. A volte mio padre, per segnare marcatamente il distacco con cui seguiva i programmi TV, si alzava di soppiatto dalla poltrona e, quatto-quatto, se ne andava. Mia madre allora gli chiedeva: “Vät a lét?”. Mio padre con aria assonnata rispondeva quasi polemicamente: “No vagh a lét”. Era un modo per ricordare la gustosa chiacchierata tra i due sordi. Uno dice appunto all’altro: “Vät a lét?”.  L’altro risponde:” No vagh a lét”.  E l’altro ribatte: “Ah,  a m’ cardäva ch’a t’andiss a lét”.

Visto che siamo in tema di sordità, vi racconto come nel bar frequentato abitualmente da mio padre ci fosse qualche persona un po’ dura d’orecchi, uno in particolare dotato di apparecchio acustico. Gli amici, i primi tempi di utilizzo dell’aggeggio, chiedevano al ringalluzzito compagnone: “Gh’ät piè la radio? Parchè s’a te gh’la zmors a t’ podèmma där dal stuppid”. Salvini e Di Maio, già questa squallida personificazione della vicenda la dice lunga, tendono a spegnere le rispettive radio per darsi, più o meno elegantemente dello stupido.  Al solo pensiero, che possano, dopo simili menate, mettersi finalmente insieme per governare il Paese, mi vengono i brividi. A quel punto non mi resterebbe che alzarmi in piedi di soppiatto e, quatto-quatto, andarmene a letto, come faceva papà.