Il Travaglio fra Caselli e Casellati

Nel 2005 Maria Elisabetta Alberti Casellati era sottosegretario al Ministero della Salute (ministro era il tecnico Girolamo Sirchia) e immediatamente fu nominata a capo della segreteria del Ministero sua figlia Ludovica (che peraltro si autodifese con forza) con le conseguenti accuse di familismo e clientelismo. Roba da far impallidire le più recenti questioni sollevate a carico di altri esponenti politici (penso ad esempio all’orologio per il figlio dell’allora ministro Maurizio Lupi).

Da parlamentare strettamente legata a Silvio Berlusconi, la Casellati fu in prima linea nell’elaborazione delle famigerate “leggi ad personam” e fu impegnata nella difesa politica di Berlusconi nel caso Ruby. Come sostiene, fuori dai denti Gian Carlo Caselli, si è sempre schierata contro la magistratura “libera” e c’è chi ricorda uno scontro fortissimo sui problemi della giustizia (fu sotto-segretaria alla giustizia dal 2008 al 2011) con Marco Travaglio con tanto di minaccia di abbandono dello studio televisivo de La7. Infine, dulcis in fundo, ha brillato, si fa per dire, nella radicale opposizione alle Unioni civili.

Ho colto queste notizie dai pochi commenti critici pubblicati sulla stampa quotidiana, non sul Fatto quotidiano, impegnato col suo direttore a pontificare sulla strategia grillina, dando amorevoli consigli ai pentastellati da tempo eletti a suo prototipo politico e nella sua qualità di simpatizzante e sponsor (forse il maggiore a livello mediatico). Non ho nulla contro la senatrice Casellati, non sposo aprioristicamente le malevole ricostruzioni sulla sua carriera politica, non mi sono mai entusiasmato per la schematica contrapposizione fra giustizialisti e garantisti, ho sempre avuti dubbi e perplessità sulla politicizzazione di certa magistratura: non squalifico quindi in partenza una donna chiamata a ricoprire la seconda carica dello Stato.

Mi permetto soltanto di ipotizzare le reazioni grilline e dei fans pentastellati se la nomina della Casellati fosse uscita da un accordo tra Berlusconi e il PD, magari con la contropartita di un democratico alla presidenza di Montecitorio. Cosa girerebbe sui social? Cosa direbbe Beppe Grillo? Cosa scriverebbe Marco Travaglio? Invece probabilmente Luigi Di Maio ha il carisma pasquale di rimettere o meno i peccati. Resta da capire il perché non abbia assolto Paolo Romani da un peccatuccio veniale e abbia santificato la Casellati: mero tatticismo della misericordia.

Se devo essere sincero non mi sorprende lo stile dei due pesi e delle due misure, già ampiamente adottato dal movimento cinque stelle, anche se fino ad oggi era applicato a favore degli esponenti pentastellati ed ora tende ad allargarsi a trecentosessanta gradi ed insinuarsi su tutta la classe politica. Non mi scandalizzo di questi improvvisati censori, che in poche ore si sono convertiti all’aborrito patteggiamento. Non mi stupisce che chi cavalca l’antipolitica sia incapace di intendere e di volere la politica. Non inorridisco di fronte all’improvviso idillio tra M5S e Lega: mi hanno sempre insegnato che ogni simile ama il suo simile. Metto nel conto che, sull’altare di un eventuale nuovo governo, i populisti del cavolo rinuncino ad alcune loro fantasiose proposte elettorali. Sono allarmato da due fatti: dalla politica ridotta al dilettantismo, assai più deleterio dell’affarismo; dal potere mediatico che si sta precipitosamente riposizionando, accreditando opportunisticamente personaggi fino a ieri sottovalutati o addirittura derisi. Così va il mondo: anche il presidente di Confindustria Boccia, non boccia questi assurdi pionieri del nulla. Chi si contenta gode!