Tutti i giorni mi riprometto di non seguire più il ciarpame dibattimentale del dopo-elezioni. Poi ci casco, anche perché vivo in questa società e devo pur tentare di capire cosa sta avvenendo in essa in chiave politica. Persino i più credibili protagonisti diretti sulla scena nonché i cosiddetti osservatori più acculturati ed impegnati sono comunque caratterizzati da una visione pragmatica, avulsa da ogni e qualsiasi richiamo ideale e valoriale: sembrano quasi aver paura di volare alto e rimangono ancorati alla bassa macelleria.
A destra hanno l’ansia da prestazione: devono cioè dare segnali di continuità rispetto alle promesse sbandierate e quindi, non disponendo nemmeno in prospettiva, se non nella loro fantasia malata, delle armi governative, sono costretti ad alzare i toni demagogici sui soliti temi, che purtroppo fanno presa su un elettorato sprovveduto e pressapochista. I grillini e i loro supporter mediatici in opportunistica crescita non possono prescindere dal loro moralismo, che non ha nulla da spartire con gli ideali democratici. A sinistra si rischia di rimanere imprigionati nello schema “disponibilità sì, disponibilità no”, prescindendo da una seria e critica analisi sull’essere di sinistra in una società cambiata, ripiegando su vecchi arnesi del mestiere o sui richiami della foresta piuttosto disboscata o su un modernismo improvvisato e tattico.
Quando si (s)parla di immigrazione non si parte dal rispetto della persona umana che ha la sventura di vivere in certi paesi; non si pensa che la situazione di grave ingiustizia verso queste popolazioni l’abbiamo creata noi chiudendo gli occhi sulle loro miserie, perché ci conveniva dimenticare che, mentre noi ci arricchivamo (probabilmente fra i più feroci anti-immigrati ci saranno commercianti e artigiani che nei decenni passati, anche non pagando le tasse, hanno realizzato utili tali da comprare un appartamento all’anno), c’era in tante parti del mondo chi si impoveriva; si finge di non capire che la politica dei respingimenti tout court oltre che eticamente inammissibile è praticamente irrealizzabile; si vuole addebitare agli immigrati un problema di delinquenza connaturale alla nostra società (la delinquenza nostrana non ha nulla da invidiare, qualitativamente e quantitativamente a quella d’importazione); si tendono a gonfiare a dismisura i dati di un fenomeno importante ma non esiziale e soprattutto non legato, se non nelle paure immotivate, alle nostre insicurezze esistenziali, sociali ed economiche.
Quando si (s)parla di reddito di cittadinanza non si parte dal diritto della persona ad un lavoro dignitoso e tale da garantirle una vita decorosa; non si ammette che abbiamo costruito un sistema che non riesce a valorizzare il lavoro e che quindi bisogna rivedere certi meccanismi di accumulazione del capitale privato e di impiego di quello pubblico; ci si limita a ipotizzare fantastiche politiche meramente assistenziali che, tra l’altro hanno dato pessima prova e ottenuto pessimi risultati proprio in quel Sud-Italia storicamente fuorviato da promesse non mantenute e da appoggi sprecati.
Mi limito ai due filoni principali di problemi, quelli che, secondo gli esperti hanno comportato il recente clamoroso (?) risultato elettorale. La carenza di riferimenti valoriali nell’interpretare e fare la politica è purtroppo totale e generale. In questo atteggiamento spaesato mi sento peraltro molto solo. Forse sono un visionario, forse un nostalgico, forse un romantico: di tutto un po’ e non me ne vergono, anzi me ne vanto.