La sagra degli incapaci

Dalle rievocazioni della vicenda Moro emerge di questo personaggio la (quasi) incredibile capacità, peraltro pagata assai cara sulla propria pelle,  di coniugare le esigenze ideali della politica con quelle pragmatiche dell’esercizio del potere, di credere negli equilibri politici italiani pur tenendo nel debito conto le esigenze di quelli internazionali,  di rispettare la trasparenza istituzionale pur ammettendo il male necessario dei servizi segreti, di conservare la compattezza della sua  e delle altre forze politiche guidandole tuttavia in un progressivo percorso di maturazione e sviluppo democratico, la difesa, a volte addirittura orgogliosa, del primato della politica rispetto alle spinte populiste e giustizialiste, la imprescindibile considerazione del ruolo dei partiti e delle istituzioni pur nell’apertura costante verso i fermenti della società, la difesa del ruolo dei cattolici nella vita repubblicana in una visione laica della politica, il giudizio grave del comunismo associato alla scommessa di aiutare il comunismo italiano ad evolvere ed a maturare pienamente sul piano democratico.

Siamo di fronte ad un autentico capolavoro purtroppo incompiuto. Senza volere nostalgicamente rievocare le altezze della politica morotea, occorre ammettere, in estrema sintesi, che per governare non basta il consenso (DC e PCI avevano circa il 75% dei voti quando votava il 90% dei cittadini): la Democrazia cristiana non si chiuse mai a riccio, aprì la collaborazione prima ai partiti di centro, poi ai socialisti poi addirittura ai comunisti; il partito comunista  accettò per decenni un ruolo minoritario senza assumere iniziative anti-politiche o anti-istituzionali (persino dopo l’attentato a Togliatti).

Non basta raccogliere il consenso, ma occorre saper interpretarlo e gestirlo, bisogna cioè essere capaci di governare. Ed è qui che casca l’asino delle forze politiche uscite vincenti dalle urne del 04 marzo scorso. Hanno raccolto quasi il 70% dei consensi dell’elettorato, ma non sanno utilizzarlo per il bene del Paese, girano a vuoto, si passano la patata bollente, si ha la netta sensazione che non ci saltino fuori. Parlano persino di nuove elezioni, ostentano la certezza di aumentare i loro consensi, ma sotto sotto sanno benissimo di rischiare grosso. Un amico osservava acutamente che forse il problema frenante per la formazione di un nuovo governo è quello della ricerca dei fondi per far tornare i conti pubblici nei parametri fissati dall’Unione Europea. A parole i miliardi di euro fioccano come la neve pre-elettorale, nei fatti trovarli è impresa ardua.

Ho volutamente banalizzato il discorso per rendere l’idea della difficoltà di governare e dell’incapacità a farlo da parte del M5S e della Lega: se si mettessero insieme, sommeremmo due impreparazioni che non consentirebbero comunque di superare l’esame.  La politica si sta avvitando attorno al nulla. Anche il più disponibile e tollerante dei professori non potrebbe assegnare neanche un misero diciotto: temo dovrà rimandare tutti alla prossima sessione d’esami. Nel frattempo? La politica non si ferma in tutti i suoi aspetti: l’economia attende segnali e provvedimenti, l’Europa aspetta un interlocutore affidabile, il mondo esige il nostro protagonismo pena una disastrosa irrilevanza internazionale, i problemi sociali richiedono risposte realistiche ed adeguate.

La campagna elettorale, in un mondo post-ideologico, dovrebbe servire proprio per fare ai partiti i test sulla loro capacità di governo: ad un check up approfondito si è preferita una banale e superficiale visita pseudo-medica. Si è fatto come quando si sta male e si dà tutta la colpa alla stagione. Nel caso si è data la colpa al PD e soprattutto a Renzi. Ho sempre seriamente dubitato di quei professionisti che per conquistare nuovi clienti sparano a zero sul lavoro di chi li ha preceduti e concedono tariffe molto ribassate. Gli utenti spesso ci cascano e dopo qualche tempo si accorgono di essere caduti quanto meno dalla padella alla brace, ma è tardi e i danni sono irreversibili, indietro non si torna e avanti non si va.