Le elezioni non politiche

Un conto è parlare di morte, un conto è morire. Un conto è parlare di governo, un conto è governare. È quanto emerge dai primi pronunciamenti leghisti e pentastellati alle prese con la formazione del nuovo governo, impresa a dir poco ardua, visti i risultati elettorali. Il popolo ha consegnato all’Italia un Parlamento rigidamente diviso in tre tronconi numericamente non autosufficienti, politicamente incomunicabili fra di loro, idealmente contrapposti, usciti da una campagna elettorale violenta, vissuta rissosamente nei modi e nei contenuti. Erano mesi, per non dire anni, che si invocavano elezioni, nelle quali siamo entrati arabi e dalle quali usciamo turchi.

Le urne, al di là degli entusiasmi degli apparenti vincitori, hanno dato due messaggi fortemente negativi per chi li vuole onestamente capire. Innanzitutto hanno consacrato la sfiducia della gente nella politica intesa come risposta ragionata, graduale e concreta ai problemi ed hanno ripiegato nella spericolata e illusoria scommessa sulle soluzioni facili e immediate. Sono state elezioni non politiche! In secondo luogo hanno dimostrato come la politica “della zappa e del badile” sia capace solo di dividere e quindi finisca col rendere ingovernabile Il Paese.

Sono bastati due giorni per rendersi conto che, una volta terminata la rissa di cortile, bisogna raccattare i pezzi e ritornare a ragionare. A volte dopo i litigi si riesce a trovare un modus vivendi, ma, quando essi sono frutto di una totale divergenza di base, l’eventuale armistizio prelude inevitabilmente alla ripresa dei combattimenti ancora più aspri e disastrosi. Quale credibilità possono avere le avances di un Di Maio, a cui probabilmente qualcuno sta abbassando la cresta? Quale attendibilità può trovare un Salvini che si nasconde nella trincea democratica del governo di alcune regioni e di parecchi comuni?

Il movimento cinque stelle è quello barricadiero, sbracato, apocalittico e ultimativo di questi anni (complimentato dai fautori della brexit, con cui si è imparentato a livello europeo) oppure solo un provocatorio e prepolitico messaggio per innescare un generico e velleitario cambiamento del Paese? La Lega è un partito estremista, euroscettico, nazionalista (legato ai populisti europei e non solo europei) oppure è solo il garzone della bottega del centro-destra, incaricato di fare il gioco sporco, di rompere per poi lasciare il negozio a chi può raccogliere i cocci e pagare?

Mettendola sul piano squisitamente personale, solo per capire meglio, dopo Di Maio arriverebbe un nuovo Rodotà? Dopo Salvini c’è pronto Tajani? Grillo da una parte e Berlusconi dall’altra stanno lavorando sotto traccia? Berlusconi nel suo solito delirio di onnipotenza ha detto che si sente comunque il regista del centro-destra. Grillo non ha bisogno di farsi riconoscere come il padrone, ideologico e non solo, di un movimento da lui inventato. In mezzo a questo equivoco marasma si trova, suo malgrado, anche il PD. Se fossi il leader del partito democratico, in questa fase mi cucirei la bocca e aspetterei al varco il Presidente della Repubblica: solo in risposta positiva alle sue mosse si potrebbe eventualmente ragionare.

Il ministro uscente Carlo Calenda ha chiesto la tessera del PD. Non mi interessano eventuali suoi secondi fini, non voglio giudicare il suo apparente atteggiamento messianico (peraltro già abbondantemente ed efficacemente sfoderato nella sua interessante attività ministeriale), mi limito a prendere atto che qualche autorevole personaggio con spiccato senso governativo ritiene, nonostante tutto, il PD l’unico strumento politico agibile. Non deve però buttarsi “generosamente” in campo e, al primo pallone che gli capita di giocare, entrare a gamba tesa. Non può aderire a un partito e poi non accettarne aprioristicamente certe scelte tattiche: il diritto/dovere di critica è cosa diversa. Ha detto simpaticamente che potrebbe trattarsi della più breve militanza partitica, qualora il PD decidesse di collaborare in qualche modo col M5S. In questo momento più che mai vale il detto “il più bel tacer non fu mai scritto”. Hanno parlato i cittadini, hanno straparlato i vincitori; almeno i perdenti, i quali potrebbero essere l’ago della bilancia, provino a tacere, a giocare di rimessa, in attesa che parli chi deve parlare: il Presidente della Repubblica (chi ha detto che il Capo dello Stato si farà dettare il compito a seconda dell’esito della nomina dei nuovi presidenti delle Camere? Nomine che dovrebbero avere tutt’altro carattere rispetto alla ricerca di una maggioranza di governo) ascolterà e chiederà.

Un mio carissimo e cattolicissimo amico mi ha inviato il seguente messaggio riferito alle scelte tattiche che bollono nella pentola PD: «Come non farsi soffiare il proprio popolo dai cinque stelle, come non ridursi ai minimi termini? Stando all’opposizione o governando? Ci vuole la luce dello Spirito Santo per non fare passi falsi…». Probabilmente la terza persona della Santissima Trinità avrà questioni più importanti da illuminare. Sono un assertore convinto della laicità della politica, ma ammetto che un aiutino così autorevole non farebbe male al PD e all’Italia. Mio padre direbbe sarcasticamente che forse era meglio che lo Spirito Santo ci pensasse prima, parlando, a modo suo, nella mano agli elettori. Meglio tardi che mai!