Un voto costituzionale a rischio astensione

Ci siamo. La parola andrà finalmente alle urne. Dico “finalmente” non tanto perché nutra un’incommensurabile fiducia nel voto degli italiani, ma perché termina una deprimente kermesse elettorale. Le tentazioni possono essere diverse e bisogna vincerle con ragionamenti democraticamente seri. Innanzitutto l’impulso all’astensione: il diritto di voto è stato conquistato a caro prezzo con la vita e il sangue di tanti nostri connazionali, astenersi sarebbe un insulto alle loro battaglie democratiche, sarebbe un affronto alla storia del nostro paese e del mondo intero. Bisogna ammettere però che a questa consultazione elettorale si è arrivati nel peggiore dei modi e dei tempi: con una legge elettorale che quasi tutti hanno votato, ma che tutti giudicano inadeguata; dopo un affrettato scioglimento delle Camere, le quali avrebbero potuto e dovuto lavorare ancora almeno un paio di mesi per vuotare i loro cassetti; in piena stagione invernale con evidenti rischi e difficoltà di condizioni atmosferiche avverse soprattutto per certi territori e per certe persone; a conclusione di una campagna elettorale che sembrava fatta apposta per incoraggiare i cittadini a starsene a casa. Anche il presidente Mattarella, che stimo immensamente, ha le sue responsabilità: si è lasciato condizionare troppo dalla smania elettoralistica dei partiti, non ha saputo “costringere” il Parlamento a lavorare ancora smaltendo provvedimenti legislativi importanti, rinviati a chissà quando, non ha valutato che il nostro Paese non comincia e non finisce in piazza del Quirinale, ma comprende vaste aree montane e territori segnati da eventi disastrosi, che l’elettorato attivo è formato anche (e soprattutto) da persone anziane, cagionevoli in salute, e che quindi un voto invernale avrebbe potuto mettere a dura prova i cittadini. Se qualcuno aveva una mezza intenzione di astenersi, la neve e il gelo lo hanno convinto (e non mi si dica che non si potevano prevedere: all’inizio di marzo si è ancora in pieno inverno e bisogna votare in primavera avanzata per prevenire i rischi del cattivo andamento stagionale).

Poi arriva la tentazione di votare con lo spirito di quel marito che, con licenza parlando, si taglia i coglioni per fare dispetto alla moglie: nel caso sarebbe meglio dire “votare i coglioni” per fare dispetto alla politica. Non ho capito cosa significhi l’antipolitica, sarebbe come vivere in una famiglia ripromettendosi di distruggerla. Diffido totalmente di coloro che, come diceva mio padre, “all’ostaria con un pcon ad gess in sima la tavla i metton a post tutt; po set ve a vedor a ca’ sova i n’en gnan bon ed fär un o con un bicer…”.

Siamo alla tentazione di insistere con le ricette scadute. Il giorno dopo il trionfo elettorale del 1994, l’Economist, se non erro, uscì con un titolone a tutta prima pagina: “Burlesconi!”. La tentazione dell’autoburla, ridando fiducia a chi ha dato pessima prova di sé a tutti i livelli: “Arridateci er puzzone”, magari in salsa verde e/o in un piatto tricolore.

Il voto deve essere ragionato, non si può votare d’impulso. E allora ci sono due approcci pragmatici, ugualmente validi, uno in negativo ed uno in positivo: scegliere il meno peggio oppure sforzarsi di capire che la politica è mediazione e occorre quindi testare il proprio voto, abbandonando il ginepraio di promesse impossibili e attaccandosi al poco o tanto emergente dalla prova dei fatti.

Ci sarebbe un altro metodo, che peraltro non è assolutamente in contrasto col bagno di concretezza: votare sulla base, non tanto delle ideologie superate, ma dei valori di fondo del vivere civile e democratico, come vuole la nostra Costituzione. Non sarebbe male: invece di ascoltare gli appelli elettorali, che nell’imminenza del voto raggiungono il massimo della loro sfacciata demagogia o della loro opportunistica e finta moderazione, rileggere la Carta costituzionale. Lo dovremmo fare spesso, a maggior ragione prima di recarci alle urne.

Matteo Salvini, durante un comizio, ha giurato sul Vangelo. Evidentemente non l’ha mai letto, altrimenti saprebbe che in materia di giuramenti Gesù afferma: «Ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la citta del gran re: non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno».

Il mio grande amico don Luciano Scaccaglia, quando battezzava un bambino, metteva sull’altare il Vangelo e la Costituzione, risolvendo alla grande il rapporto tra scelta religiosa e scelta politica. Lasciamoci guidare dalla Costituzione: in essa sono contenuti tutti i sì ed i no. Meditiamola un attimo e poi…andiamo a votare.